Una corte distrettuale di Tokyo ha ordinato al gigante Google di rivedere una serie di risultati suggeriti dalla feature automatica Autocomplete, a conclusione dell’ennesima controversia legale sulla privacy e sulla reputazione degli utenti legata al search engine di Mountain View. Il giudice nipponico Hisaki Kobayashi ha infatti accolto le richieste di un cittadino locale, che aveva trascinato in aula la Grande G con l’accusa di diffamazione a mezzo digitale .
È la prima sentenza di condanna stabilita in Giappone contro la funzione di suggerimento automatico di Google, già finita nella bufera tra Francia , Brasile e Italia . L’accusa è sempre la stessa: Autocomplete associa i nomi di aziende e privati cittadini a termini o fatti di cronaca ritenuti diffamatori . Era successo con l’agenzia immobiliare Lyonnaise de Garantie – associata al termine escroc , truffatore – ed è successo in Giappone con una nuova multa nei confronti dell’azienda californiana.
Mentre i legali di Mountain View studiano il testo della sentenza in primo grado – non è chiaro se ci sarà un appello – l’uomo del Sol Levante ha ottenuto un risarcimento da 300mila yen (quasi 2.400 euro) per la sofferenza psichica causata dall’associazione online tra il suo nome e una condotta criminosa non meglio specificata. Nella tesi sostenuta dall’accusa, i suggerimenti automatici di Autocomplete avrebbero impedito all’uomo di trovare un lavoro oltre ad aver arrecato un trauma esistenziale.
In precedenza , l’utente nipponico aveva tentato più volte di ottenere da Google la cancellazione dei riferimenti sgraditi, insistendo sulla convinzione di non aver mai commesso alcuna attività illecita. Mountain View aveva sempre negato qualsiasi forma di coinvolgimento diretto, sottolineando come Autocomplete si basasse su un algoritmo del tutto automatico .
Non operando nell’area giurisdizionale del Sol Levante, gli stessi algoritmi di BigG non potranno essere modificati in maniera coatta su ordine del giudice di Tokyo.
Mauro Vecchio