Google certi datacenter non li raffredda

Google certi datacenter non li raffredda

Funzionano ad aria e niente altro. Così il costo della bolletta si riduce, l'inquinamento pure. E se la temperatura si alza basta spostare altrove il carico di lavoro
Funzionano ad aria e niente altro. Così il costo della bolletta si riduce, l'inquinamento pure. E se la temperatura si alza basta spostare altrove il carico di lavoro

Il cuore della Google-machine non ha bisogno di impianti di raffreddamento ad hoc, perlomeno per quanto riguarda un data center operante in Belgio. È l’ennesima meraviglia tecnologica in salsa verde che arriva da un’azienda già impegnata ad assumere capre al posto dei tagliaerbe a benzina, ottimizzare l’ efficienza energetica dei server e organizzare le sue infrastrutture attraverso container componibili . E a quanto pare funziona sufficientemente bene da rimanere up per tutto l’anno o quasi.

Nel data center che Google ha installato in Belgio (non è dato sapere se con o senza container) i bollenti spiriti dei server in eterno ruminare vengono placati con pura e semplice aria d’ambiente, e nonostante questo la struttura riesce a lavorare alla temperatura standard (per Google) di 80 gradi Farenheit, circa 27 gradi Celsius. E riesce a farlo per dodici mesi esclusa una settimana, la più calda dell’anno, a quanto pare senza nemmeno prevedere la presenza di sistemi di raffreddamento di backup.

Il merito di questo risultato tecnologico andrebbe non solo al sistema (al momento ignoto) con cui sono organizzati i server del data center, ma anche alla componentistica fornita a Google da Intel, come processori capaci di reggere l’impatto del calore sulle prestazioni e la stabilità delle macchine molto meglio dei prodotti venduti in ambito consumer.

E se la temperatura si alza troppo come nel caso della succitata settimana più calda dell’anno, dicono i G-man , la soluzione è semplice: basta spostare il carico computazionale dalla struttura localizzata in Belgio a un diverso componente della ciclopica Google-machine sparpagliata per il mondo. Nel giro di pochi istanti Google si può permettere di trasferire dati, processi, baracca e burattini tra i data center in suo possesso, in attesa che le condizioni climatiche tornino favorevoli.

Sperando, naturalmente, che nel bel mezzo dell’operazione – che coinvolge un numero massiccio di macchine e “centinaia di migliaia di problemi variabili di programmazione lineare che devono girare in tempo quasi reale”, stando a quanto sostiene il senior manager of engineering and architecture di Google Vijay Gill – nulla vada storto e la Google-machine non si scassi lasciando a piedi utenti, aziende e sogni di cloud computing in un sol colpo.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
17 lug 2009
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