I robot non chiederanno indicazioni stradali

I robot non chiederanno indicazioni stradali

Nuovi approcci per migliorare i movimenti degli automi, che emulano gli esseri umani, i pesci e gli insetti. Con interessanti risvolti medici
Nuovi approcci per migliorare i movimenti degli automi, che emulano gli esseri umani, i pesci e gli insetti. Con interessanti risvolti medici

In un articolo pubblicato sul New Scientist , l’équipe della Purdue University capitanata da George Lee ha annunciato di aver elaborato un nuovo algoritmo che permetterebbe ai robot di immaginare la pianta di un edificio in base all’esperienza accumulata .

L’ orientamento e gli spostamenti all’interno di uffici e appartamenti sono due dei principali problemi che gli automi mobili sono costretti ad affrontare. Mentre per gli esseri umani è piuttosto semplice utilizzare punti di riferimento per elaborare mappe mentali dei luoghi in cui si trovano, i robot sono costretti a tracciare schemi precisi basandosi sulle rilevazioni dei propri scanner e odometri .

Si tratta di procedure lunghe e complicate che fino ad oggi erano state affrontate utilizzando algoritmi molto complessi, oppure cercando di suddividere il compito tra diversi robot che esplorano la stessa area condividendo i risultati.

L’approccio scelto per questo nuovo algoritmo dagli scienziati americani è differente: basandosi sui dati raccolti durante l’esplorazione, l’unità elaborativa dell’androide tenta di estrapolare il resto della pianta basandosi sui dati in suo possesso. In questa maniera è possibile risparmiare tempo evitando di dover visitare tutto la superficie interessata, oppure continuare l’esplorazione ottenendo una mappa più precisa che in passato.

L’algoritmo definisce le porzioni di spazio adiacenti ai settori esplorati come “cellule di frontiera”: basandosi sui contorni di questi territori sconosciuti, tenta di ricostruirne la struttura interna basandosi sui dati già raccolti . Se esiste una corrispondenza, viene elaborata una predizione del contenuto della cosiddetta “frontier cell”.

Ciascuna predizione ha un grado di attendibilità: in base a questa informazione, il robot sceglie se esplorare la zona o trascurarla. I risultati preliminari sembrano incoraggianti: le macchine sono state in grado di spostarsi correttamente all’interno degli uffici, avendo esplorato il 33% in meno dei loro pari privi del nuovo algoritmo.

In futuro i ricercatori pensano di aggiornare il meccanismo (per il momento rivelatosi efficace solo per gli ambienti chiusi), permettendo a due o più robot di condividere i dati raccolti per semplificare ulteriormente le procedure, e permettere l’elaborazione anche dei dati raccolti da altri automi per la formulazione delle predizioni. Un meccanismo molto simile, ma pensato per la chirurgia endoscopica , è allo studio presso l’ Imperial College di Londra. Le difficoltà da superare, dovute ai movimenti corporei e alla estrema complessità del corpo umano, sono enormi: si pensa all’impiego di TAC e risonanze magnetiche per fornire dati sul campo operatorio ai robot.

Per migliorare gli spostamenti sott’acqua , gli scienziati americani della Nortwestern University di Chicago hanno invece tratto ispirazione dai pesci . Alcune specie, sia marine che d’acqua dolce, sono in grado di produrre un leggerissimo campo elettrico attorno al proprio corpo: l’interazione di altri pesci o di oggetti con questo campo fornisce informazioni utili per il movimento e per evitare eventuali ostacoli.

I ricercatori pensano di poter equipaggiare sottomarini e robot con dei sensori capaci di riprodurre questo meccanismo, sebbene si prevedano ancora molti anni di studio prima di ottenere prototipi efficaci. Grazie a questi sensori, dovrebbe diventare possibile operare agilmente in spazi molto piccoli come antichi relitti sommersi, oppure procedere all’esplorazione di strutture sottomarine artificiali e naturali.

A Berkeley invece si studiano gli insetti robotici : questo settore sembra ben avviato verso la realizzazione di piccoli velivoli funzionanti, visto che la AeroVironment (azienda californiana che lavora ad un progetto per la DARPA ) prevede i primi voli di prova per il prossimo anno.

Al momento i problemi principali sembrano risiedere nell’ attrito che le ali generano durante il movimento : rallenterebbe il battito delle stesse, impedendo la generazione della spinta necessaria al sollevarsi dell’automa. Gli scienziati stanno cercando di ridurre il peso complessivo del roboinsetto, e ripongono molta fiducia nelle capacità che la loro creatura dimostrerà una volta che avrà spiccato il volo.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
10 mag 2007
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