I signori del copyright chiamano, Washington risponde

I signori del copyright chiamano, Washington risponde

di G. Scorza - Puntuali come ogni anno, gli Stati Uniti analizzano i paesi del mondo dal punto di vista del rispetto della proprietà intellettuale. La lente la fornisce l'industria dei contenuti. Uno sguardo sull'immagine dell'Italia
di G. Scorza - Puntuali come ogni anno, gli Stati Uniti analizzano i paesi del mondo dal punto di vista del rispetto della proprietà intellettuale. La lente la fornisce l'industria dei contenuti. Uno sguardo sull'immagine dell'Italia

L’Office of the United States Trade Representative ha inserito anche quest’anno l’Italia nella cosiddetta watch list dei paesi da tenere sotto osservazione perché ad alto rischio di pirateria. Assieme all’Italia, nella watch list 2011, sono stati inseriti Bielorussia, Bolivia, Brasile, Brunei, Colombia, Costarica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Egitto, Finlandia, Grecia, Guatemala, Giamaica, Kuwait, Malaysia, Messico, Norvegia, Perù, Filippine, Romania, Spagna, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan, Vietnam. Se il rapporto costituisse il frutto di un lavoro serio e scientificamente rigoroso ci sarebbe ben poco di cui andare fieri, benché il nostro Paese sia ormai inserito nella watch list sin dal 2001 ovvero da quando venne escluso dalla cosiddetta priority watch list nella quale sono inseriti i Paesi pirata e nemici del copyright.

Il rapporto, tuttavia, benché sfortunatamente destinato ad ispirare ed orientare in modo significativo la politica commerciale internazionale statunitense nel mercato dei beni immateriali, appare influenzato in modo rilevante ed irresponsabile dalla lobby dei detentori dei diritti d’autore che ha, praticamente, dettato – quasi parola per parola – agli uffici del Governo USA la posizione da assumere in relazione al nostro paese. Si tratta di una conclusione alla quale si giunge agevolmente confrontando la “scheda Italia” contenuta a pagina 36 dell’edizione 2011 del rapporto 301 con la posizione trasmessa dalla International Intellectual Property Alliance (l’associazione privata che rappresenta l’industria statunitense del copyright) al U.S. Trade Representative for Intellectual Property and Innovation Office of the U.S. Trade Representative (l’ufficio responsabile della stesura del documento) nel febbraio scorso, ovvero pochi giorni prima che venisse licenziato il Rapporto.

La International Intellectual Property Alliance scrive che ” Internet piracy continues to grow in Italy, in a variety of forms. In fact, Italy may now have the most significant online piracy problem in the world ” (la pirateria Internet continua a crescere in Italia, in una varietà di forme. Infatti l’Italia potrebbe avere il più significativo problema di pirateria online del mondo). E puntuale l’ufficio del Governo statunitense annota nel rapporto che ” piracy over the Internet continues to grow, severely damaging the legitimate market for distribution of copyrighted works ” (la pirateria su Internet continua a crescere, danneggiando in modo grave il mercato legittimo della distribuzione di opere protette da copyright).

La IIPA si dice soddisfatta dell’iniziativa di regolamentazione avviata dall’AGCOM benché preoccupata dei limiti di applicazione oggettiva della disciplina allo studio, rilevando che “The initiative of Italy’s Regulatory Communication Authority (AGCOM), launched in December 2010 (…) shows promise to address some of the escalating problems that rights holders face online but does not appear poised to address problems related to P2P piracy directly” (L’iniziativa dell’autorità di regolamentazione delle comunicazioni (AGCOM), lanciata nel dicembre 2010 (…) mostra l’impegno nell’affrontare alcuni dei crescenti problemi che i detentori dei diritti affrontano online ma non appare preparata ad affrontare problemi connessi direttamente alla pirateria a mezzo P2P). Ovviamente, nel rapporto 301, i responsabili dell’ufficio del Governo di Obama convengono su tale circostanza auspicando una rapida approvazione della nuova regolamentazione ed un’estensione del suo ambito di applicabilità a ” all types of piracy that takes place online ” (tutti i tipi di pirateria che hanno luogo online).

La penna pungente e poco obiettiva di IIPA individua nella vigente disciplina italiana in materia di privacy uno dei principali limiti al funzionamento dell’enforcement contro le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, segnalando – con particolare riferimento alle posizioni assunte dal Garante Privacy nei casi Peppermint e Fapav – che il framework normativo nostrano renderebbe particolarmente difficile, se non impossibile, l’attività privata di antipirateria e ricordando che il Garante ha ritenuto illecita l’attività di monitoraggio della rete peer to peer compiuta da soggetti privati al fine di acquisire gli indirizzi IP dei presunti pirati. L’ufficio di Washington risponde inserendo nel proprio rapporto la stessa annotazione e spingendosi a dare al nostro paese un suggerimento che ha il sapore dell’ingerenza in affari interni: ” The United States also encourages Italy to address other IPR issues, including a troubling Data Protection Agency ruling prohibiting the monitoring of peer-to-peer networks ” (gli Stati Uniti incoraggiano l’Italia ad affrontare altre questioni legate alla proprietà intellettuale, compresa una regolamentazione problematica dettata dall’Autorità Garante per la Protezione dei Dati che proibisce il monitoraggio delle reti peer-to-peer).

Ce ne sarebbe già abbastanza per dare al Governo degli Stati Uniti d’America un bel 30 e lode all’esame di dettato ma, sfortunatamente, non finisce qui. L’International Intellectual Property Association scrive che, in Italia, mentre le Forze dell’Ordine e, in particolare, la Guardia di Finanza collaborano attivamente e con buoni risultati nell’attività di antipirateria, la giustizia – specie quella civile – è lenta, poco preparata e scarsamente disposta a farsi carico delle esigenze dei titolari dei diritti. Prontamente l’Office of the United States Trade Representative scrive nel rapporto appena pubblicato che ” While rights holders report good efforts by the Finance Police and the Customs Police, few cases reach final sentencing and courts still fail to impose deterrent level sentences ” (mentre i detentori dei diritti riferiscono di un buon impegno da parte della Guardia di Finanza e degli agenti che operano alle dogane, pochi casi raggiungono una sentenza e i tribunali non sono ancora in grado di emettere sentenze che agiscano da deterrente).

L’industria suggerisce, dunque, ed il Governo recepisce: un ottimo esercizio di dettato ma nulla di più e, soprattutto, nulla che dovrebbe influenzare l’approccio degli altri paesi al nostro mercato dei contenuti digitali e, magari, scoraggiare gli investitori.
Ogni altra parola sarebbe di troppo.
È evidente che l’industria audiovisiva non si è lasciata sfuggire, neppure quest’anno, l’occasione di sfruttare l’altra sponda dell’oceano per sponsorizzare il varo, nel nostro paese, di più stringenti misure antipirateria e la compressione del diritto alla privacy di utenti e consumatori in nome dell’esigenza di garantire ai titolari dei diritti forme di investigazione e giustizia privata.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
3 mag 2011
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