Il DDL Carlucci attenta al business sul Web?

Il DDL Carlucci attenta al business sul Web?

Le piattaforme che consentono ai cittadini della rete di esprimersi potrebbero rinunciare ad operare, schiacciate dall'imposizione di tutelarsi di fronte ad una legge che imporrebbe controlli e verifiche. La lettera di un lettore
Le piattaforme che consentono ai cittadini della rete di esprimersi potrebbero rinunciare ad operare, schiacciate dall'imposizione di tutelarsi di fronte ad una legge che imporrebbe controlli e verifiche. La lettera di un lettore

Negli ultimi giorni l’attenzione della Rete si è concentrata molto sul Disegno di Legge “antipedofilia” promosso dall’On. Gabriella Carlucci. Cercando in Rete ho scremato il rumore di fondo per comporre un quadro della situazione il più possibile obiettivo. Partendo da esso mi sono fatto un’idea degli effetti che il DDL, tramutato in legge, avrebbe sulla Rete e sul Mondo Reale: che cosa significherebbe la legge Carlucci per le aziende italiane che fanno del Web il loro core business?

L’On. Carlucci si riferisce, nella lettera ripresa e pubblicata da Webnews , ad un tempo in cui il web non era ancora Web 2.0. L’uso dell’etichetta Web 2.0 raccoglie una serie di elementi che vanno da aspetti meramente tecnici a filosofie di marketing: proprio queste ultime hanno portato a creare form di registrazione estremamente leggeri, essenziali, anonimi da un certo punto di vista! Imporre le pastoie di una verifica – per esempio – a mezzo cellulare allontana gli utenti, non solo i malintenzionati, dai propri servizi fino a mettere in repentaglio aziende altrimenti sane e fiorenti (qui ci metto la mia esperienza personale affermando che – nonostante l’ormai lontano scoppio della bolla della new economy – il business su web ha saputo risorgere e consolidarsi meglio di quanto si potrebbe essere portati a credere).

Rendere il web uno spazio meno interessante causando la chiusura di blog, community e siti di informazione alternativa (non parlo ancora di applicazione della legge Carlucci, ma di scelte individuali di persone portate a pensare che il gioco non valga più la candela: perché testo diffamatorio può arrivare all’improvviso su un forum, o tra i commenti di un blog ed i controlli e la prevenzione è prima di tutto un onere, non un onore) logorerebbe l’intera rete in lingua italiana e danneggerebbe anche aziende che investono sul web senza il bisogno di creare intorno a sé una community affiatata e “scatenata”.

Siamo in tempi di crisi ed io credo che non ci si possa permettere di danneggiare un settore legale e fiorente in nome della caccia alle streghe.

L’abolizione dell’anonimato in Rete porterebbe davvero ad una diminuzione della criminalità?
Secondo me no. Il mito dell’anonimato in Rete è appunto un mito. Attraverso l’IP, che ormai un po’ tutti i siti tracciano accuratamente, è già possibile, per le forze dell’ordine, risalire agli autori di un post, di un articolo o di un commento. Esistono strumenti e metodi investigativi come esistono i mezzi per aggirarli. I criminali oggi vengono rintracciati proprio perché si sentono troppo sicuri: in pantofole davanti al monitor nella propria camera da letto. Ma se la consapevolezza di presentarsi con nome e cognome fosse tangibile ecco che si finirebbe per cautelarsi, per prendere
contromisure – e non c’è nulla di più facile di crearsi una falsa identità o – peggio – prenderne a prestito una esistente!

Risultato: se devo diffamare, se cerco di adescare, se voglio scambiare materiale protetto dal diritto d’autore lo faccio prendendo le dovute precauzioni, dopo essermi assicurato che la polizia – dopo aver seguito le mie tracce in giro per il mondo – si perda inevitabilmente senza riuscire a raggiungermi oppure che trovi a colpo sicuro… la persona sbagliata!

Se la Rete viene considerata uno “strumento facile” per commettere crimini abominevoli quali la pedofilia, è altrettanto vero che grazie alla Rete tali crimini sono diventati perseguibili, proprio perché escono dall’ambiente protetto e privato delle mura domestiche in cui – forse – tornerebbero a stagnare, al sicuro dagli occhi dell’opinione pubblica e delle forze dell’ordine. Ricordo l’episodio del ragazzo disabile malmenato dai compagni di classe: se uno di loro non avesse pubblicato il video su YouTube nessuno ne avrebbe saputo nulla e il branco l’avrebbe fatta franca. Non dovremmo aspirare alla certezza della pena? Qualcuno pensa davvero che se il branco non avesse potuto pubblicare quel video avrebbe lasciato in pace la vittima?

Gli utenti onesti non devono aver paura di rinunciare all’anonimato.
Ovvero l’Italia non è la Cina dove l’anonimato può salvarti la vita. Vero: non siamo la Cina; falso: l’anonimato può salvare la vita anche qui. Proteggersi dietro ad un nickname rendendo i propri dati anagrafici accessibili ai soli amministratori può non essere una garanzia sufficiente. Se parlo di mafia, di camorra, di racket, se voglio portare o ricevere conforto per la mia esperienza di genitore in un forum in cui si parla del dramma della pedofilia o di anoressia, della mia esperienza di vittima di uno stupro. Pensate ai gruppi dell’anonima alcolisti: perché per loro è tanto importante restare anonimi?

Pensate si tratti di casi limite? Per fortuna anche la pedofilia lo è.
Pensate si tratti di situazioni tirate per i capelli? Allora concedetemi di trovare semplicistica la vostra affermazione iniziale. La legge si ritorce contro coloro che avrebbe dovuto difendere, di questo il legislatore dovrà ben tener conto.

Ora sapete perché basta leggere il primo articolo del DDL Carlucci per far drizzare i capelli a chi la Rete la conosce davvero, la usa e vi lavora per scopi rispettabili ed onesti.

Alessio Cecchin

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Pubblicato il
23 mar 2009
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