Roma – Il Regno dell’Arabia Saudita annuncia che imporrà il rispetto delle leggi sulla proprietà intellettuale informatica. Il motivo non è esplicitato ma è ovvio: la difesa del copyright è un fattore determinante per entrare nel WTO , l’Organizzazione mondiale del commercio, nonchè una costante fonte di preoccupazioni per i produttori di software della BSA : la pirateria informatica è infatti considerata anche in Arabia una piaga nazionale, che interessa l’utenza domestica e governativa.
Le nuove misure repressive non prevedono mezzi termini: multe dai 5.500 ai 110.000 ? per i privati che trasgrediscono. Mano pesante, anzi pesantissima, sulle imprese: nei casi più gravi si arriva alla chiusura definitiva .
In verità la legislazione saudita sul copyright risale al 2003 ma, evidentemente, c’è ora bisogno di rassicurazioni internazionali. Non è un caso che l’annuncio di Riad arrivi dopo che un recente rapporto negli USA, che gestiscono classifiche dei paesi in base al livello di pirateria riscontrato sui diversi mercati, evidenzia altissimi livelli di diffusione di software illegale . Nonostante gli sforzi che il Ministero dell’Informazione saudita ha dichiarato di aver compiuto, oltre il 90 per cento delle famiglie utilizza programmi sprovvisti di licenze. E solo il 25 per cento degli uffici pubblici sarebbe “in regola”.
Questi i motivi che hanno trascinato l’Arabia Saudita nella lista nera dei paesi nel mirino delle associazioni internazionali che tutelano autori ed editori. Ed è in buona compagnia: con lei anche paesi come Italia, Bulgaria, Taiwan e Cina. La lotta ai pirati ha dalla sua l’impegno della BSA che tenta con ogni mezzo di aumentare il consenso popolare alla crociata anti-contraffazione, per esempio spingendo sul fronte delle perdite, economiche ed occupazionali: la pirateria costerebbe, secondo BSA, la bellezza di 13 miliardi di dollari l’anno al settore ICT nel mondo. Jawad Al Redha, vice presidente della divisione BSA dell’area, nel corso di un recente convegno internazionale ha sottolineato come “il nostro scopo è promuovere un maggior rispetto delle leggi IPR (Intellectual Property Regulations) , poichè il rispetto del copyright è fondamentale per qualsiasi paese che voglia entrare nel mercato ICT globale”.
Ed è questo, il mercato, che attira ineluttabilmente l’Arabia Saudita, che attende ormai l’ ingresso nel WTO . L’ambitissima membership , che apre le porte del commercio mondiale, passa obbligatoriamente dal rispetto delle norme IPR, rispetto che ora l’Arabia ha abbracciato con enfasi. Non a caso il Direttore Generale del WTO, Supachai Panitchpakdi, ha dichiarato che il paese sarà “membro entro il 2005”.
Deregolamentazione dei mercati, rispetto del copyright ed apertura delle frontiere non basteranno comunque per ammodernare il regno di Fahd bin Abdul Aziz: un vero regime teocratico in cui la “Shari ‘a” (legge del Corano) determina, con pugno di ferro, la condotta morale e civile del popolo. Una dura legge che interessa persino la Rete: l’unico nodo d’accesso alle dorsali internazionali ha sede a Riad, presso il Ministero delle Comunicazioni, che gestisce completamente il flusso di informazioni .
Esistono infatti dei monolitici firewall governativi in ciascuno dei 30 provider presenti sul territorio, che filtrano i contenuti “immorali” e determinano l’accessibilità alla Rete per oltre due milioni di utenti. La censura governativa è all’ordine del giorno: sono condannati tutti quei siti che non riflettono “la moralità del paese”. Ma i vertici del WTO non sembrano prestare attenzione alla gravità della situazione, non rientra nella mission dell’organizzazione internazionale, interessata esclusivamente al mercato.
Che poi l’applicazione di leggi oscurantiste e restrittive oltre ai diritti umani e civili danneggino proprio l’economia e il mercato sembra non interessare granché in Arabia, figuriamoci all’estero. Ovvio peraltro che i leader del WTO siano pronti a chiudere non uno ma due occhi: in fondo, i sistemi di controllo sauditi si basano su preziosissimi software prodotti in Occidente . Programmi da tutelare con leggi sul copyright. Poco importa se una donna adultera (oppure omosessuale) viene lapidata pubblicamente. Poco importa se le notizie consultabili tramite Internet sono soltanto quelle governative: l’importante è che tutti quanti utilizzino software protetto.
Precedenti approfondimenti di T.L:
Razzismo sul web, tolleranza zero
Verso il proibizionismo 2.0
Una Internet… stupefacente?