In galera per un'email

In galera per un'email

Sono riusciti a condannare a quattro mesi il ragazzo che fece l'errore di postare false minacce su un newsgroup. Una vicenda incredibile e una punizione volutamente clamorosa
Sono riusciti a condannare a quattro mesi il ragazzo che fece l'errore di postare false minacce su un newsgroup. Una vicenda incredibile e una punizione volutamente clamorosa


Denver – Micheal Ian Campbell è stato condannato a quattro mesi di reclusione per aver inviato su un newsgroup un messaggio di minaccia contro la Columbine High School, la scuola tristemente nota per la sparatoria che vi ha avuto luogo nell’aprile ’99 ad opera di due studenti che uccisero 13 dei loro compagni prima di uccidere sé stessi.

Campbell, 18 anni, che pochi giorni prima aveva perduto il padre, ha avuto l’ardire di scrivere online, riferendosi alla sparatoria: “Dovrò finire il lavoro”. Una studentesse della Columbine, che ha letto il messaggio, lo ha denunciato. Dopo alcune settimane, Campbell, di cui abbiamo a lungo parlato su queste pagine, ha scelto il patteggiamento e si è riconosciuto colpevole di “aver inviato minacce da uno stato federale all’altro”. Si tratta di un reato grave negli USA, tanto grave che il tribunale ha deciso di spedirlo in galera per quattro mesi.

Campbell è svenuto subito dopo la lettura delle sentenza, mentre sua madre, dai banchi del pubblico, ha gridato alla ragazza che aveva denunciato Campbell alla polizia: “Tu, tu l’hai ucciso”. Una scena disperata e incredibile, che secondo alcuni pare testimoniare la straordinaria capacità della giustizia USA di uscire completamente fuori dalle righe sotto la pressione delle cronache e dei media…

La vicenda era iniziata il 15 dicembre scorso, quando la dichiarazione di Campbell spinse la studentessa Erin Walton, che aveva letto il messaggio, ad avvertire le autorità scolastiche della Columbine, che decisero di chiudere la scuola per due giorni. Il mese scorso Campbell ha tentato di togliersi la vita. Secondo il suo avvocato in galera potrebbe non sopravvivere visto l’attuale precario stato psicologico.

Il giudice ha spiegato di non poter cambiare la sentenza: “E’ un esempio per gli altri”.

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Pubblicato il
2 mag 2000
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