Inflazione bassa? Colpa dell'ecommerce

Inflazione bassa? Colpa dell'ecommerce

E se l'ecommerce potesse avere un ruolo fondamentale nel tenere bassa quell'inflazione che l'Europa sta cercando a tutti i costi di alzare? Si chiama effetto Amazon e Adobe lo ha misurato.
E se l'ecommerce potesse avere un ruolo fondamentale nel tenere bassa quell'inflazione che l'Europa sta cercando a tutti i costi di alzare? Si chiama effetto Amazon e Adobe lo ha misurato.

L’ ecommerce è al tempo stesso rischio (per alcuni) ed opportunità (per altri), entrambi proporzionalmente commisurati all’impeto con cui il commercio online è andato imponendosi. Ma ora c’è un nuovo tassello che va ad aggiungersi a questo tipo di valutazione bipolare: l’ inflazione , elemento fin qui non sufficientemente valutato nelle analisi sul commercio elettronico. Che ecommerce ed inflazione avessero qualche strana relazione in corso era cosa in realtà ipotizzata da tempo, ma i dati non avevano mai suffragato questa teoria così come avviene ora.

Il rischio è infatti che il commercio elettronico, con le sue dinamiche e la sua forte impronta nel determinare i prezzi sul mercato, possa aver avuto un effetto mai sufficientemente contemplato dalle analisi di mercato e dalle conseguenti politiche economiche. Tutto gira attorno al concetto di prezzo medio e trova nei dati Adobe la conferma delle teorie sulla bassa inflazione delineate negli ultimi anni.

Inflazione ed ecommerce

L’inflazione è, per definizione, il tasso con cui aumentano i prezzi dei beni di consumo scambiati sul mercato. Per misurare l’inflazione non si registrano però le singole transazioni, né si contemplano tutti i beni disponibili: non sarebbe tecnicamente possibile. Gli economisti si accontentano pertanto di indici e analisi in grado di fotografare lo stato dei fatti in uno determinato momento, partendo anzitutto da un paniere di beni scelti ad hoc per fornire uno spaccato credibile del mercato. Esistono poi varie declinazioni del paniere, pesando in modo differente o meno (ad esempio) i costi dell’energia, dei beni di lusso o dei beni di prima necessità.

Secondo una ricerca del National Bureau of Economic Research , il dito potrebbe ora dover essere puntato contro il commercio online. Non si tratta di una “colpa”, quanto di una “responsabilità”: l’ecommerce, fattore non sufficientemente fotografato all’interno degli indici di misurazione dell’inflazione, avrebbe infatti un peso importante nella definizione della variazione dei prezzi. La ricerca, co-firmata da Austan D. Goolsbee e Peter J. Klenow, focalizza l’analisi sui flussi dell’economia cercando di mettere in evidenza le cause che rendono spesso vani i tentativi di tenere l’inflazione vicina al tasso (definito naturale e ritenuto desiderabile) del 2% circa.

Un’analisi che arriva dagli USA, quindi, che non può che interessare da vicino anche quell’Europa che da anni combatte contro gli stessi impulsi deflazionistici e che proprio nelle prossime settimane dovrà capire come, se e quando uscire dal Quantitative Easing voluto dalla Banca Centrale guidata da Mario Draghi. Lo stesso Draghi ammetteva l’esistenza di questo effetto “depressivo” dell’ecommerce sui prezzi fin dal 2016, quando indicava come cause del fenomeno l’aumento della globalizzazione, della trasparenza dei prezzi e della concorrenzialità tra gli attori sul mercato. Le teorie espresse da Draghi prima e da Powell (FED) poi, trovano ora dimostrazione pratica nei dati misurati: l’ effetto Amazon non si può più ignorare.

Effetto Amazon

Lo studio utilizza i dati ricavati dal cosiddetto Digital Price Index, indice dei prezzi compilato da Adobe Systems, e li mette in correlazione al Consumer Price Index, indice dei prezzi relativo al tasso di inflazione standard. È sufficiente una fotografia dell’andamento dei prezzi negli anni 2014-2017 per notare differenze abnormi tra i due indici, con una conseguenza evidente ed immediata: l’indice dei prezzi misurato online indica una deflazione ben più profonda rispetto all’indice dei prezzi misurato in modo tradizionale.

L’ecommerce, forte della sua prepotente spinta all’abbassamento dei prezzi (frutto di un mercato sempre più globale), potrebbe quindi essere un forte motore a pulsione deflazionistica, cosa che tuttavia sfuggirebbe alle tradizionali logiche di misurazione delle variazioni dei prezzi. Un esempio lampante: se il CPI ha valutato nel triennio 2014/17 un calo dei prezzi dei beni tecnologici nell’ordine del 10%, il DPI ha invece misurato un valore quasi tre volte più ampio. Il che non solo conferma i timori che la Federal Reserve avrebbe avanzato già in passato, ma pone il mercato di fronte ad un quadro deflazionistico che le politiche economiche degli ultimi tempi non hanno sicuramente affrontato in modo frontale. Il rapporto tra i due indici è in molti casi superiore ad un fattore 2,5X.

Ci si trova insomma di fronte alla necessità di ammettere l’esistenza del cosiddetto “effetto Amazon”, una sorta di price-cap connaturato all’esistenza del commercio elettronico . Il che va analizzato nel lungo periodo (l’ecommerce è qui per rimanere) e che forse costringerà a rivedere il concetto stesso di tasso naturale di inflazione. Le politiche economiche del prossimo futuro non potranno insomma ignorare il fatto che esista un sistema concorrenziale al mercato tradizionale e che i volumi scambiati per via elettronica debbano giocoforza essere ponderati assieme a quelli del mondo offline.

Qual è l’inflazione reale?

Qual è dunque il tasso di inflazione reale in questo momento? Dipende da cosa intendiamo per “inflazione reale”, a questo punto, nonché dalla metodologia usata per misurare quanto definito sotto questo nome. I dati racconti da Adobe sembrano parlare chiaro e l’analisi della NBER intende porvi su l’accento: l’inflazione misurata online è dell’1% più bassa rispetto a quella misurata secondo i metodi tradizionali, portando tale valutazione fino al 2% basandosi su modelli di confronto ancor più affinati. Se si considera che l’inflazione USA odierna è nell’ordine del 2,8% annuo, ciò significherebbe che si agisce con ottica espansiva all’interno di un’economia che in realtà è vicina alla stagnazione. E in Europa si potrebbe pertanto verificare una situazione nella quale si lotta contro una stagnazione che in realtà si avvicina ad una timida deflazione.

Anche l’inflazione andrà dunque analizzata in futuro nell’ottica nuova di un mercato che sta cambiando e che non può più soltanto basare l’analisi dei prezzi sulla composizione di un paniere. Perché il paniere, al giorno d’oggi, lo potrebbe portare un corriere espresso, suonando il campanello e chiedendo una firma: la digital transformation, a volte, avviene in modo del tutto naturale.

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Pubblicato il 14 giu 2018
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