Internet, chi paga chi?

Internet, chi paga chi?

Il dibattito sulle alternative all'accesso e alla distribuzione free dei contenuti in rete è rovente sulle due sponde dell'Atlantico. Nel Regno Unito si vuole che a pagare siano i fornitori di contenuti mentre negli USA si sostiene il contrario
Il dibattito sulle alternative all'accesso e alla distribuzione free dei contenuti in rete è rovente sulle due sponde dell'Atlantico. Nel Regno Unito si vuole che a pagare siano i fornitori di contenuti mentre negli USA si sostiene il contrario

Se il modello di una Internet gratuita e ad accesso libero per tutti (utenti come provider di contenuti) non è definitivamente morto, di certo non si sente tanto bene: un chiodo sulla bara della rete “gratis per tutti” lo martella British Telecom , il più grande provider di connettività del Regno Unito che ha cominciato a chiedere agli “altri” provider, quelli dei contenuti veicolati attraverso l’infrastruttura, di pagare dazio per sostenere i costi di mantenimento della suddetta infrastruttura .

Con questa sortita, peraltro non inedita nel’Isola, BT pone anche fine alle polemiche di questi giorni, scaturite dall’evidenza del fatto che l’ISP avrebbe messo un limite alla velocità di download di iPlayer , la piattaforma di distribuzione gratuita (per l’utente finale) di quella BBC che di contenuti ne ha prodotti e ne produce a vagonate.

Sì ammette ora BT, la banda disponibile per iPlayer ha un cap in downstream pari a 896 Kbps per i clienti della “Opzione 1”, quelli che viaggiano con la broadband “base” tarata sui 2 Megabit a cui l’ iTraffico viene limitato tra le cinque di pomeriggio e mezzanotte, nella parte del giorno in cui l’intasamento della rete e maggiore.

“Tutti vogliono cose come alta velocità, prezzi bassi, connessioni a 2 Mb. Noi non crediamo sia realistico per i proprietari dei contenuti come BBC e altri continuare a fruire di un vantaggio a costo zero”, così commenta il portavoce di BT riguardo la vicenda del throttling di iPlayer. È finita la ricreazione del web e BT suona la campanella per i provider di contenuti, “il traffico sta crescendo – dice BT, e – l’idea che gli ISP continueranno a pagare le bollette non è sostenibile. Vogliamo sistemare la questione con BBC e gli altri per arrivare a un qualche compromesso realistico”.

L’ISP esclude qualsiasi possibilità di caricare il costo della banda sui clienti , perché già adesso i prezzi sono dettati da una concorrenza spietata e il progetto governativo tracciato dal report Digital Britain spinge sull’idea di un costo ridotto di accesso per non lasciare disconnesso nessuno. Dunque a pagare dovranno essere i content provider, e se il primo a essere chiamato in causa è BBC per via delle recenti polemiche su iPlayer il discorso di BT si applica sostanzialmente a tutti, anche ai gigante dei contenuti multimediali come YouTube di Google.

Il traffico di rete di iPlayer nel Regno Unito è stimato per il 7% della banda totale, cosa che sottolinea anche BBC in risposta alle dichiarazioni battagliere di BT, mentre YouTube di rete ne satura il 30% nei momenti di picco. Non sono al momento noti contatti tra il provider inglese e il colosso statunitense riguardo la questione, ma se le intenzioni di BT non sono solo vuote parole in un futuro non molto lontano i due soggetti dovranno cominciare a discutere del problema e delle possibili soluzioni.

Dall’altra parte dell’oceano il problema è praticamente speculare a quello sollevato da British Telecom , visto che negli USA solo i provider (e in particolare gli ISP di rete e cavo medio/piccoli rappresentati dall’associazione American Cable Association ) a lamentarsi dei fornitori di contenuti, che a loro dire stanno cominciando una rivoluzione al contrario che inevitabilmente porterà alla nascita di una Internet ad accesso limitato fortemente deleteria per l’economia del settore.

“I giganti dei media sono nella fase iniziale di una trasformazione che li porterà a essere i guardiani dell’accesso a Internet – denuncia la ACA – richiedendo ai provider di connessioni in broadband di pagare per i loro contenuti e servizi basati sul web e includerli come parte di un accesso Internet base per tutti i sottoscrittori”. Secondo la visione ipotizzata da ACA a comandare davvero saranno le corporation dell’intrattenimento, la net neutrality finirà per essere solo un lontano ricordo e a fare le spese della situazione saranno soprattutto i soci dell’associazione, operatori che portano Internet nelle zone rurali del paese che spesso devono pagare di più per garantire ai consumatori la disponibilità degli stessi contenuti dei player maggiori.

ACA cita in particolare il caso di ESPN360.com , il canale web di eventi sportivi controllato da Disney che ha già siglato accordi con 60 diversi provider ma che evidentemente propone dei prezzi inaccessibili agli ISP di minori dimensioni. Nella sua risposta alle pretese di ACA ESPN definisce “insostenibile” la tesi proposta e ribadisce di “non voler forzare nessun distributore”, grande o piccolo che sia, “a trasportare alcuno dei nostri prodotti”. Il modello di business di ESPN è quello e gli ISP devono farsene una ragione, sostiene il canale web.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
15 giu 2009
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