Internet sarà pure bella, ma occorre regolarla

Internet sarà pure bella, ma occorre regolarla

L'ultimo studio che arriva dagli Stati Uniti invita alla riflessione: la rete sta cambiando o stanno cambiando gli utenti? A quanto pare, il 63 per cento degli americani vuole una internet sottoposta a regole. Con poche eccezioni
L'ultimo studio che arriva dagli Stati Uniti invita alla riflessione: la rete sta cambiando o stanno cambiando gli utenti? A quanto pare, il 63 per cento degli americani vuole una internet sottoposta a regole. Con poche eccezioni


Roma – Dopo i diversi casi di censura a danni di siti web italiani, da noi c’è chi si chiede se la rete non debba essere liberata da alcune regole che sembrano opprimere sempre di più le nuove libertà, quelle digitali, che mette a disposizione di tutti. Dagli Stati Uniti arriva uno studio che induce a ritenere che le cose potrebbero andare sempre più nella direzione opposta.

L’ormai celebre Merkle Foundation sostiene che una rete senza regole piace a pochissimi e che, anzi, la maggioranza degli utenti internet americani si schiera apertamente per una maggiore quantità di normative relative alla rete. E questo accade in un paese nel quale, in questi anni, più che in Italia e in generale in Europa si è cercato di mantenere un “hand-off approach”, cioè un approccio che evitasse le regolamentazioni imposte dall’alto.

Le cifre degli esperti della Merkle, organizzazione non-profit, affermano che il 63 per cento degli americani ha una buona opinione della rete, atteggiamento condiviso dall’83 per cento degli americani-utenti. Ma il 64 per cento degli utenti statunitensi ritiene importante che si arrivi a regole che proteggano chi naviga su web o gira per la rete.

Non tutti i dati vanno però nella direzione di una “irregimentazione” di internet. Il 60 per cento degli americani, infatti, riterrebbe utile che i programmi di sviluppo della rete e il controllo che le regole per internet siano rispettate non dovrebbero essere affidati al governo, quanto agli organismi non-profit e alle aziende private. Come a dire, dunque, che da un lato le autorità dovrebbero costruire una infrastruttura di “protezione normativa” dell’utente ma che, dall’altro, non dovrebbero occuparsi di farla rispettare…

D’altra parte ben il 47 per cento degli intervistati dalla Merkle ritiene che internet sia anche una fonte di preoccupazione, in particolare per l’inaffidabilità di molte informazioni che vi si trovano pubblicate, o per i contenuti violenti, per la pornografia e per i rischi per la privacy. Una situazione che porta il 54 per cento ad affermare di non godere online delle stesse tutele di cui si gode offline (il 59 per cento afferma anche di non sapere a chi rivolgersi quando si incontra un “problema” online).

Lo studio appare particolarmente interessante perché è stato realizzato dalla “Greenberg Quinlan Rosner Research” sulla base di altri rapporti pubblicati da osservatori diversi e di indagini dirette. Sarebbe dunque comprensivo delle risultanze di una serie di inchieste sull’atteggiamento degli americani relativamente alla rete. Vista dall’Italia, l’indagine è senz’altro rilevante, sia perché arriva da un paese che da più tempo “mastica internet” con un approccio tradizionalmente non-legislativo, sia perché spesse volte queste tendenze USA si sono rivelate anticipatrici di analoghi fenomeni in Europa, dove peraltro “l’approccio regolamentare” ha da tempo molta fortuna.

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Pubblicato il 12 lug 2001
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