Washington (USA) – Internet2 si sta affermando come mezzo di comunicazione digitale veloce, anzi velocissimo, tra più di 170 istituti scientifici e universitari americani che oggi dispongono di un “nodo di accesso”. Si tratta già, a pochi anni dalla sua nascita, di una “meraviglia elettronica” capace, con i suoi gigabit di banda, di rendere reali i sogni degli scienziati, desiderosi di scambiare informazioni tra i tanti osservatori e centri di ricerca, e quelli degli studenti più talentuosi, a cui è concessa l’interazione con le sempre più numerose risorse che Internet2 mette a disposizione.
L’obiettivo centrale della rete iperveloce è quello di dare vita ad un network che non solo sia costruito su una banda immensamente superiore a quella della Internet attuale ma che sia anche il campo di sperimentazione di applicazioni capaci di sfruttare sfruttare l’enorme potenziale della comunicazione digitale ultrarapida. E questo obiettivo è ormai a portata di mano, almeno a leggere l’entusiasmo che traspare dai comunicati stampa di chi sta conducendo questo enorme, incredibile sforzo evolutivo nel mondo digitale.
Eppure la iper-rete americana, pensata per gli USA soltanto, con la possibile eccezione di due università giapponesi, va più piano del previsto. Non nelle tecnologie, ultraveloci grazie ai servizi del vBNS (Very high-performance backbone network service), ma nei tempi di allargamento ad un maggiore numero di istituzioni partecipanti e di sviluppo degli applicativi che dovranno occupare quell’oceano di banda larghissima che Internet2 mette loro a disposizione.
Per rimediare ad un leggero ritardo nel ritmo di sviluppo, ritardo che se non viene corretto potrebbe peggiorare, università e centri di ricerca hanno da tempo iniziato a chiedere e ottenere maggiori fondi, pubblici e privati. Lo scorso febbraio l’amministrazione Clinton ha garantito che Internet2 avrebbe ottenuto una larga fetta dei 6,9 miliardi di dollari stanziati per la ricerca informatica americana. Ma denaro, necessario a sostenere gli enormi costi della ricerca, è arrivato anche dalle grandi corporation ammesse a partecipare alla costruzione di un network dal carattere decisamente “patriottico”.
E sono proprio le grandi corporation a ravvivare le speranze di ottenere in tempi rapidi il raggiungimento di tutti gli ambiziosi risultati che il progettone si è prefissato. Sono le grandi corporation a sponsorizzare alcune delle ricerche più costose se non addirittura a prenderne parte direttamente ed è quindi del tutto naturale che il primo sfruttamento commerciale dei nuovi applicativi sarà riservato proprio a loro. Con buona pace di alcuni scettici padri della prima Abilene , cuore fondante della iper-rete. IBM è entrata nel progetto con il suo TJ Watson Research già dal gennaio del 1999. Sei mesi dopo è arrivata Microsoft Research e poi via via altre corporation che direttamente o sotto forma di sponsor hanno iniziato a pompare denaro, cioè ossigeno, nel grande cantiere digitale.
Cosa accadrà adesso? Se lo si chiede ai ricercatori si scopre che nelle Hawaii sono quasi pronti applicativi che consentiranno agli astronomi di usare da remoto telescopi che si trovano a migliaia di chilometri di distanza. A Chicago, nel laboratorio di Visualizzazione elettronica dell’Università cittadina, si va studiando la creazione di immagini tridimensionali in ambienti nei quali possano essere analizzati dagli utenti e che possano essere trasmesse a distanza, via rete naturalmente (qualcosa che non è ma ricorda, almeno in via di principio, il “Ponte ologrammi” di trekkiana memoria). Se tutto questo è reso possibile dai denari delle corporation diventa difficile prendersela proprio con loro, come stanno imparando i pionieri del supernetwork made in USA.