Interviste/ E quei bollini SIAE

Interviste/ E quei bollini SIAE

Intervista a Patrizio Tassone, direttore editoriale della rivista Linux&C.: la nuova legge sul diritto d'autore è un errore e una minaccia per l'Open source; lo spot BSA è disinformazione
Intervista a Patrizio Tassone, direttore editoriale della rivista Linux&C.: la nuova legge sul diritto d'autore è un errore e una minaccia per l'Open source; lo spot BSA è disinformazione


Roma – Punto Informatico ha avuto l’occasione di intervistare nelle scorse ore Patrizio Tassone, direttore editoriale della rivista Linux&C. , sulle questioni più calde per l’open source e il libero sviluppo in Italia e non solo.

Punto Informatico: Cosa ne pensi della nuova legge sul diritto d’autore?
Patrizio Tassone: Assurda è il termine esatto. Ci riporta indietro di anni, e annulla praticamente le sentenze, per certi versi “rivoluzionarie”, degli ultimi periodi.
Il Parlamento inoltre, approvando questa legge, non ha in alcun modo considerato l’esistenza del software opensource. Forse per loro non è importante, immagino (qualcuno dovrebbe dir loro che Internet si “muove” utilizzando quel software). O non sanno valutare il reale valore dello stesso. O forse ancora vorrebbero vederlo sparire, perchè fa concorrenza ad aziende che “contano”, che hanno “voluto” questa legge, e che dispensano bug ad ogni release dei loro prodotti.

PI: Ed il bollino SIAE da apporre sui CD-ROM contententi programmi, anche se contengono software libero, come quelli che alleghi alla rivista che dirigi?
PT: Un balzello, una tassa ingiusta. Per me non è altro che un dazio sulla circolazione dei CD-ROM, anche se SIAE ripete che è una mera applicazione della legge che va a tassare lo scopo di profitto della distribuzione (profitto e non lucro!). Come dar loro torto, eseguono la legge.
Ma è l’idea che sta dietro alla stessa che non mi convince: si cerca di identificare l’originale dalla copia, anche in un caso nel quale non vi è differenza, come l’OpenSource.
Quindi per cosa si paga? Per la qualità no di sicuro, visto che nessuno garantisce (neppure le software house) che il prodotto sia esente da errori.
Per il contenuto del CD-ROM neppure, visto che i controlli avvengono sempre successivamente alla distribuzione: per quanto ne so io, nei CD-ROM potrebbero esserci anche immagini di pedofili, criptate con una chiave “inviolabile”, e la SIAE neppure si porrebbe il problema, basta il bollino sopra il CD… altro che nascosti nei siti internet! Libera circolazione, nessun controllo. Ma mi raccomando: il bollino deve esserci, e bene in mostra.

PI: Ma i soldi versati con il bollino dove andranno?
PT: Sicuramente a ripianare i debiti di SIAE… Gli autori di software libero, sparsi nel mondo, non vedranno una lira. Perchè SIAE dice chiaramente che la cifra versata è solo un rimborso spese per i controlli effettuati. Una caccia al CD pirata che ha un sapore medievale. Se usassero tutti software open source i controlli non servirebbero e sicuramente i dati sarebbero al sicuro, per tutti, Microsoft compresa!

PI: Ti riferisci al recente fatto dei sorgenti di MS Office trafugati?
PT: Precisamente. Se una società di quel calibro, che produce sistemi operativi, che ha a disposizione le migliori “menti”, si fa sottrarre quanto di più prezioso custodisce sfruttando i buchi dei loro stessi programmi, beh, in che mani sono i vari uffici che affidano a tali programmi la gestione dei dati?
Mi sembra che sia un caso così ridicolo che ogni commento è superfluo. Ma mentre Microsoft è obbligata ad utilizzare il software che produce (se non altro per immagine), garantendo così una qualità che non c’è, che dire delle nostre informazioni in mano a software del quale ignoriamo le funzioni? Io esigo che i miei dati siano protetti.


PI: Una frecciata alla Pubblica Amministrazione che utilizza esclusivamente software Micorosoft e che recentemente è stata anche oggetto di una petizione ?
PT: Se lo usasse e tutto funzionasse, ci sarebbe solo da considerare l’enorme dispendio di fondi e, poiché stiamo parlando di soldi pubblici, quantomeno una valutazione di convenienza sarebbe da fare; anzi, abbiamo il diritto che venga fatta e che ci venga fatto conoscere il motivo delle scelte.
Ma quel software neppure funziona e non sarebbe affatto difficile per un cracker, sfruttando i buchi di quei sistemi, impadronirsi di dati confidenziali: perché devo pagare per programmi che non funzionano quando esistono alternative universalmente riconosciute come “più sicure” e spesso anche più prestanti?

PI: “Copiare software è reato”. Questa frase, contenuta nello spot di BSA, ha sollevato le critiche più accese, specie da parte della comunità open source. In molti l’hanno definitita mera disinformazione: e tu? Giudichi inoltre opportuna la necessità, da parte di BSA, di avvalersi di un messaggio a tinte così forti come quello lanciato dallo spot?
PT: Disinformazione, nè di più, nè di meno. Con un forte sospetto di dolo, viste le parti in causa. Con questo spot la BSA reca un danno enorme all’OpenSource, vanificando la difficile opera di informazione che si sta cercando di portare avanti, e cioè che “esistono soluzione gratuite, duplicabili quante volte si vuole, con qualità paragonabile al software commerciale (commerciale, non professionale!), se non addirittura superiore”.
Se a guidare il movimento OpenSource vi fosse una società, ritengo che chiederebbe miliardi di danni per una pubblicità del genere. “Copiare software è illegale”, dipende dal tipo di software… Mi pare che, per BSA, è software solo quello che realizzano i loro associati.
Ma il problema non è BSA: l’associazione difende i suoi soci, come è giusto che sia, visto che da loro è fondata. E ‘ semmai incredibile che si possa mandare in TV informazione devastata e devastante. La potenza di chi ha soldi da buttare. E di chi sa investire più in marketing che in qualità.

PI: BSA sostiene che il software professionale va protetto da copyright e contro la contraffazione perché solo così si garantiscono i fondi per svilupparlo. Che ne pensi?
PT: Sono d’accordo. Se scelgo di utilizzare un prodotto commerciale, accetto la licenza ed è giusto che non lo duplichi. Semmai il problema sta nella parola “professionale”: quanto del software effettivamente funziona? Quanti sono i bug contro i quali ogni giorno ci dobbiamo scontrare? Chi “garantisce” (visto che di garanzie si parla) tutto questo? E soprattutto, chi tutela l’utente?

PI: Il fatto che circoli molto software pirata, nelle aziende e nelle famiglie italiane, è dovuto ad un problema culturale, come suggerisce la BSA ?
PT: In parte ha ragione: in Italia c’è questa tradizione… Ho bisogno di scrivere una lettera? Non uso Wordpad o StarOffice, no, ho bisogno di Microsoft Office. Devo schiarire un’immagine? Non mi accontento di PaintShop Pro o Gimp, no, voglio minimo PhotoShop con tutti i plug-in possibili.
Ma dopo tutto si parte dalle scuole superiori con questo ragionamento, se non addirittura prima: quanti comprano i programmi “educational”? Nessuno! E ‘ più facile copiare un pacchetto.
Sembrerà strano ma io sono favorevole a controlli a tappeto: così finalmente le persone inizieranno a guardarsi intorno e, prima di spendere fior di milioni in software che non funziona, valuteranno l’utilizzo di pacchetti alternativi.
Se succederà questo, prevedo delle forti impennate di utilizzo di StarOffice ed altri pacchetti opensource, sia nelle aziende che presso i privati.

PI: Secondo te come si potrebbe migliorare lo sviluppo e la qualità dei prodotti?
PT: I modi ci sarebbero: quanto spende lo Stato per acquistare prodotti da terze parti? Facciamo una classica scelta aziendale: make or buy.
Investiamo la stessa cifra per creare una task-force che produca quel software, e lo rilasci di pubblico dominio. Per lo Stato niente cambierebbe (forse migliorerebbe in qualità), ma avrebbe creato una infrastruttura software che è un valore aggiunto per tutte le aziende, al pari di altre infrastrutture quali strade, telefonia o quant’altro.
Si perderebbe lavoro? Assolutamente. I tecnici andrebbero a fare finalmente i tecnici, e non guadagnerebbero sulla mera vendita di un pacchetto XYZ, che acquistano ad 1 milione e lo rivendono a 2. Seguirebbero le personalizzazioni (quale azienda non ne ha bisogno?), venderebbero consulenze, che dovrebbe essere il loro core-business.
Ma non si reinventerebbe la ruota tutte le volte.
E se invece di essere una cosa tutta italiana, quella task-force fosse europea, e fosse finanziata con i fondi europei? Con gruppi di internazionalizzazione dei pacchetti in tutti gli stati… Quanti vantaggi si potrebbero avere? Non mi ci far pensare… meglio che torni a finire il prossimo numero della rivista.

Intervista a cura di Alessandro Del Rosso

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Pubblicato il
24 nov 2000
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