L'abuso e l'email sul lavoro

L'abuso e l'email sul lavoro

di Adele Chiodi - Si diffondono le nuove tecnologie nel settore pubblico e aumentano i casi in cui i dipendenti ne abusano. Ma è davvero certo che l'uso personale sia sempre senza giustificazione? Una svolta si cela nella telematica
di Adele Chiodi - Si diffondono le nuove tecnologie nel settore pubblico e aumentano i casi in cui i dipendenti ne abusano. Ma è davvero certo che l'uso personale sia sempre senza giustificazione? Una svolta si cela nella telematica


Roma – Una interessante segnalazione giunta dalla Gran Bretagna nelle scorse ore induce a serie riflessioni sulla libertà di utilizzo delle nuove tecnologie da parte dei dipendenti, in questo caso pubblici. Pare infatti che nel corso del 2002 ben 300 impiegati della Pubblica Amministrazione britannica abbiano “abusato” dei sistemi di posta elettronica e, più in generale, di internet e delle infrastrutture telematiche. In alcuni casi ai provvedimenti disciplinari contro irrequieti dipendenti si sono aggiunte denunce civili e penali.

Tutto ciò riporta di attualità una questione mai interamente risolta anche in Italia. Fino a che punto, cioè, il dipendente pubblico deve essere sottoposto a controlli e censure su quello che combina con gli strumenti informatici che gli vengono messi a disposizione?

Sul piano della tutela della riservatezza delle caselle di posta elettronica utilizzate dal dipendente tutte le difese dei paladini della privacy sono ormai cadute. Questo perché, a fronte di una comunicazione formale ed esplicita dell’amministrazione sulla policy da seguire nell’uso di uno strumento di questo tipo, il dipendente non ha altra scelta che uniformarsi. E la policy può anche prevedere controlli periodici e/o a campione nonché indagini nel caso emerga un utilizzo considerato “non opportuno” dello strumento.

Allo stesso modo sul piano legale sembra esservi poco spazio possibile di difesa per coloro che sfruttano i mezzi telematici pubblici per fini non direttamente connessi alle proprie responsabilità in quanto utilizzano risorse pubbliche.

Messi quindi da parte le considerazioni sulla privacy e l’aspetto meramente giuridico, però, rimane in piedi il sempre meno considerato ambito della soddisfazione e del benessere del dipendente sul luogo di lavoro. A causa della natura gerarchica e amministrativa del settore pubblico, infatti, come sperimentato da migliaia di dipendenti di questo comparto, sono numerose e poco documentate le pause nel lavoro se non addirittura i lunghi periodi di inattività. E questo avviene a fronte di una richiesta tassativa da parte dell’amministrazione acché il dipendente si trovi in ogni caso sul luogo di lavoro anche in assenza di compiti specifici da espletare. Una situazione lungamente dibattuta che si trova tra le prime cause di insoddisfazione e persino frustrazione di numerosi dipendenti pubblici.

A fronte di questo, e pur nel rispetto della missione “pubblica” delle risorse utilizzate, appare sempre più difficile comprendere perché quelle stesse infrastrutture, quando non necessarie all’espletamento di una funzione specifica, non possano essere organizzate dalla stessa amministrazione perché diventino veicolo volontario di nuovi stimoli, di formazione e più in generale di strumenti e servizi di miglioramento della condizione sociale e culturale del dipendente. Proprio le nuove tecnologie portano con sé queste nuove possibilità che, sul lungo periodo, dovrebbero essere considerate una imponente risorsa per la riqualificazione del personale dipendente che ne trarrebbe enorme giovamento.
E in assenza di iniziativa dell’amministrazione l’iniziativa personale dovrebbe essere premiata anziché repressa aprioristicamente.

Con questo non si vuole naturalmente giustificare comportamenti abusivi, quanto invece porre l’accento sulla necessità di discriminare tra comportamenti illeciti e comportamenti finalizzati all’elevazione del proprio stato.

Adele Chiodi

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Pubblicato il 5 feb 2003
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