Dopo mesi di annunci, smentite, polemiche, autorevoli e comunicati stampa, questa mattina, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha, finalmente – non perché se ne avvertisse il bisogno ma perché ciò varrà almeno a consentire un confronto più obiettivo e meno emotivo – pubblicato la delibera contenente lo schema di Regolamento relativo alla disciplina del diritto d’autore nelle reti di comunicazione elettronica.
Il testo diverrà ora oggetto di una consultazione pubblica che si snoderà lungo i due mesi estivi per concludersi al rientro dalle vacanze dei più, ovvero trascorsi 60 giorni dalla pubblicazione della delibera in Gazzetta Ufficiale che dovrebbe avvenire nei prossimi giorni.Lo schema di regolamento, sfortunatamente, contiene più conferme delle paure e perplessità manifestate alla vigilia dell’approvazione che non delle illusioni e speranze create con la diffusione del comunicato stampa AGCOM dello scorso 6 luglio.
L’Autorità, infatti, manifesta l’intenzione di compiere taluni importanti pentimenti operosi dei quale le va dato atto ma, ad un tempo, continua a mostrarsi convinta di essere deus ex machina della complessa materia della circolazione dei contenuti – tutti – nello spazio pubblico telematico. Il primo giudizio di sintesi sullo schema di Regolamento approvato dall’Autorità non può, pertanto, che essere severo e negativo.
L’iniziativa regolamentare dell’AGCOM, nei termini attuali, resta illegittima ed inopportuna sotto una pluralità di differenti profili sui quali, nei prossimi giorni, sarà necessario tornare ad occuparsi con maggiore attenzione. Vale comunque la pena evidenziare, sin d’ora, taluni macroscopici profili che rendono inaccettabile l’iniziativa regolatoria dell’Autorità.
Già il titolo del regolamento – “REGOLAMENTO IN MATERIA DI TUTELA DEL DIRITTO D’AUTORE SULLE RETI DI COMUNICAZIONE ELETTRONICA” – evidenzia l’intenzione dell’Autorità di dettare le regole di un fenomeno – quello della circolazione in Rete di ogni genere di contenuto – assai più ampio rispetto a quello che le competerebbe normare. Il potere regolamentare, ovvero quello di dettare nuove norme e non già semplicemente applicare quelle preesistenti in materia di diritto d’autore, deriva all’Autorità dall’attuale art. 32 bis del testo unico sui servizi media audiovisivi, così modificato dal famigerato cosiddetto Decreto Romani .
L’Autorità, pertanto, può dettare esclusivamente nuove regole in relazione alla tutela dei diritti d’autore nell’esercizio dell’attività di fornitura di servizi media audiovisivi. L’AGCOM, tuttavia, si è, evidentemente, lasciata prendere la mano o, meglio ancora, tirare per la giacchetta dai titolari dei diritti su una serie di contenuti diversi da quelli audiovisivi e, con lo schema di Regolamento appena pubblicato, annuncia l’intenzione di dettare le regole relative ad ogni questione attinente al diritto d’autore in Rete. Ciò significa che, almeno secondo l’Autorità, le nuove norme dovrebbero trovare applicazione non già solo nei confronti dei fornitori dei servizi media audiovisivi e con riferimento ai contenuti audiovisivi, ma bensì in relazione ad ogni genere di gestore di ogni tipo di sito internet ed in relazione a qualsivoglia tipologia di contenuto, giornali inclusi.
Si tratta di un approccio dettato da una pericolosa forma di mania di onnipotenza che rende la nuova disciplina palesemente illegittima. L’obiettivo perseguito dall’Autorità abusando dei propri poteri regolamentari è sin troppo evidente: AGCOM, volendo assecondare le pressioni degli editori dei giornali di carta e dell’industria cinematografica e televisiva, intende dettare regole applicabili anche nei confronti dei grandi intermediari della comunicazione e dei servizi erogati dai cosiddetti over the top . Il nuovo Regolamento, infatti, contrariamente a quanto accadrebbe se AGCOM rispettasse i limiti dei poteri regolamentari attribuitile, minaccia di essere applicabile anche a servizi come – Broadcast Yourself.”>YouTube e Google News benché non si tratti, con ogni evidenza, di servizi media audiovisivi e Google non possa, conseguentemente, essere qualificato quale fornitore di servizi media audiovisivi.
È un risultato perseguito attraverso due minuscole definizioni furbescamente introdotte nello schema di regolamento. La prima è quella di “gestore del sito internet”, definito come il soggetto che sulla rete Internet presiede alla gestione di contenuti, anche caricati da terzi, e all’organizzazione dei medesimi anche attraverso un loro sfruttamento economico; e la seconda quella di “contenuto”, definito come ogni contenuto sonoro, audiovisivo, giornalistico ed editoriale coperto da copyright diffuso su reti di comunicazione elettronica.
Un pugno di caratteri ed il gioco è fatto: norme destinate ad applicarsi solo alle nuove TV finiscono con l’essere applicate alla circolazione di ogni genere di contenuto – da chiunque e comune intermediato – nello spazio pubblico telematico. Siamo di fronte ad un autentico colpo di mano di un’Autorità sempre meno indipendente e, evidentemente, sempre più controllata da pochi, anzi pochissimi, comparti industriali.
Ma andiamo avanti.
Nel comunicato stampa del 6 luglio, il Presidente dell’Autorità, Corrado Calabrò, aveva riferito: ” Abbiamo messo a punto un testo attentamente riconsiderato, dal quale sono state eliminate ambiguità e possibili criticità, fugando così qualsiasi dubbio sulla proporzionalità e sui limiti dei provvedimenti dell’Autorità e sul rapporto tra l’intervento amministrativo e i preminenti poteri dell’Autorità giudiziaria “. Delle due l’una: o il Presidente non aveva ancora letto il provvedimento benché già approvato o si è trattato di un estremo tentativo di dissimulare le reali intenzioni della sua Autorità.
Il procedimento di rimozione selettiva dei contenuti disciplinato dalle nuove norme, infatti, resta sostanzialmente analogo a quello originariamente proposto, egualmente ambiguo e, inesorabilmente, niente affatto rispettoso delle prerogative dell’Autorità Giudiziaria e del diritto alla difesa degli utenti. Ecco perché.
Le nuove regole continuano a prevedere che a seguito del ricevimento di una segnalazione di sospetta violazione dei diritti d’autore, l’Autorità avvii un procedimento ed inviti “””il gestore del sito o il fornitore del servizio media” – in nessun caso il singolo utente uploader del contenuto – a difendersi attraverso una memoria da inviarsi a mezzo posta elettronica certificata (ndA: chi ce l’ha e la usa davvero batta un colpo!) entro 48 ore (ndA: si direbbe neppure lavorative!). Trascorso tale ridicolo intervallo di tempo, la competente Direzione dell’Autorità potrà ordinare al gestore del sito e/o al fornitore del servizio media audiovisivo la rimozione del contenuto tanto che quest’ultimo sia stabilito in Italia che all’estero.
Accadrà così che centinaia di migliaia di contenuti – video, post e podcast – di cittadini ed utenti verranno rimossi dallo spazio pubblico telematico senza che questi ultimi ne abbiano notizia né siano posti nella condizione di difendersi. Si tratta di una previsione a dir poco anti-costituzionale perché in aperta violazione, con un colpo solo, degli articoli 21 (libertà di manifestazione del pensiero), 24 (diritto alla difesa) e 111 (diritto ad un giusto processo).
Siamo dinanzi ad un autentico golpe istituzionale per effetto del quale un’Autorità amministrativa pretende di spogliare i cittadini di diritti e libertà fondamentali loro riconosciuti dalla Carta Costituzionale. I perversi ideatori di questo procedimento andrebbero probabilmente processati per attentato alla costituzione (lo scrivo in senso atecnico) o, più semplicemente, occorrerebbe augurare loro che, se in affitto, venissero sfrattati dalla propria abitazione all’esito di un procedimento celebrato in 48 ore davanti ad un’Autorità amministrativa formata dai rappresentanti dei proprietari degli immobili e senza neppure essere informati della pendenza del procedimento medesimo.
Quanto al rispetto delle prerogative e del ruolo dell’Autorità giudiziaria vanamente evocato dal Presidente Calabrò nel proprio comunicato stampa, esso si esaurisce nella possibilità per il gestore del sito Internet o per il fornitore del servizio media audiovisivo – ancora una volta in nessun caso l’utente uploader – di adire, nel corso del procedimento (ndA: e, quindi, in un pugno di ore!) l’Autorità Giudiziaria ordinaria. Solo in tal caso l’Autorità rinuncerebbe all’esercizio dei propri poteri.
Come si fa seriamente ad ipotizzare che il gestore di un sito, in 48 ore, si determini, a tutela di uno dei milioni di contenuti pubblicati da uno dei milioni di propri utenti, a farsi carico – e a trovare il tempo – degli oneri e delle spese necessari a deferire la questione della legittimità della pubblicazione di un contenuto che non gli appartiene all’Autorità Giudiziaria, imbarcandosi così in un giudizio lungo una decina di anni? Si tratta, forse, di uno dei passaggi più ipocriti dell’intera delibera: siamo di fronte ad un’autentica presa in giro istituzionale!
Il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, tuttavia, raggiunge il minimo storico in relazione alla disciplina dell’ipotesi nella quale un gestore di un sito non ottemperi al provvedimento adottato dall’Autorità all’esito del descritto procedimento sommario. In questo caso, l’Autorità potrà irrogare a tale soggetto una sanzione sino a 250mila euro per non aver rimosso un video di due minuti dalla propria piattaforma o un post dal proprio blog. È uno straordinario esempio di proporzionalità e di giusto processo. Un caso unico – e per fortuna – nel nostro Paese di sanzione tanto severa irrogata all’esito di un procedimento sommario e senza alcuna garanzia di difesa.
L’espressione “illegittimità costituzionale” non rende giustizia all’iniquità della previsione che l’Autorità vorrebbe introdurre nel nostro ordinamento. L’unica concessione, si è detto, che l’Autorità sembra intenzionata a fare agli utenti della Rete è il riconoscimento del principio del cosiddetto fair use . Gli utilizzi di opere dell’ingegno altrui a scopo non commerciale, e non in concorrenza con l’uso commerciale delle opere stesse da parte degli aventi diritto, non dovrebbero costituire una violazione dei diritti d’autore.
In linea di principio si tratta – occorre darne atto agli uomini del Presidente Calabrò – di un fatto non di poco conto e da salutare con favore. A ben vedere, tuttavia, anche sotto tale profilo l’AGCOM concede a parole molto di più di quanto non riconosca effettivamente a sfogliare le norme contenute nel Regolamento.
La verifica circa la sussistenza di un’ipotesi di fair use , infatti, è rimessa in prima battuta agli stessi titolari dei diritti (art. 6, comma 1) ed in seconda battuta alla competente Direzione dell’Autorità (art. 9, comma 3) che anziché valutarla alla stregua della giurisprudenza sembra chiamata a farlo sulla base di parametri autonomamente individuati dalla medesima AGCOM all’art. 10 del Regolamento. Tutto, in altro parole, sembra confermare la convinzione dell’Autorità di poter scrivere un codice speciale – di merito e rito – per questo genere di procedimenti ed essere preordinato a confinare le ipotesi di fair use a reali e rarissime eccezioni.
Difficile esprimere un giudizio positivo sulle regole oggi presentate dall’Autorità. Guai, tuttavia, a non riconoscere che l’AGCOM ha avuto – e gliene va dato atto – almeno il coraggio di aprirsi al confronto ed al dibattito e, quindi, è ora necessario che tutti gli stakeholder e gli utenti interessati partecipino alla consultazione pubblica e rappresentino all’Autorità le proprie posizioni anche critiche, riservando a settembre ogni ulteriore e diversa reazione.
È, ritengo lo si debba credere davvero, ancora il tempo del dialogo e del confronto. Staremo a vedere se l’AGCOM saprà meritarsi un’ulteriore apertura di credito.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it