Roma – I sudditi britannici non hanno solo da temere la tradizionale umidità delle loro terre ma anche la severità dei datori di lavoro che, a quanto pare, spesso e volentieri ricorrono al licenziamento quando un proprio dipendente si affaccia su siti internet pornografici o sfrutta risorse di connessione per un uso non strettamente collegato alle proprie mansioni.
A confermare questa severità è uno studio apparso su “Personell Today” e realizzato insieme a Websense, e si basa sulle interviste condotte su un campione di quasi 550 manager di grandi imprese, ognuno dei quali ha sotto di sé la responsabilità di almeno 2mila persone.
A quanto pare, il 72 per cento delle imprese ha dovuto fronteggiare qualche forma di abuso del mezzo telematico da parte dei propri dipendenti e un’azienda su quattro ha deciso di risolvere il problema con il licenziamento. Causa primaria che porta ad azioni sanzionatorie, tra cui appunto il licenziamento, è la tendenza del personale ad esplorare la pornografia in rete, alla quale vengono ricondotti il 69 per cento dei casi. La maggior parte di questi, tra l’altro, avverrebbe in uffici “a stanze chiuse”, essendo più difficile navigare liberamente in stanze o aule che raccolgono molti dipendenti.
La severità appare dovuta anche al fatto che i manager ritengono che più di 20 minuti al giorno di surfing a titolo personale non possa mai essere concesso e quindi difficilmente tollerano la media di 30 minuti al giorno di navigazione a fini personali propria della maggioranza dei dipendenti.
Un dato significativo è che il 40 per cento delle aziende ha gestito casi di “abuso” della rete da parte di dipendenti su segnalazione di colleghi di ufficio.
L’intero, interessante studio è disponibile in formato pdf qui .
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Prodotto meno competitivo...è questione di qualità
La ricerca è solo uno degli aspetti qualitativi che mancano nel nostro paese. Forse è il più grave perchè manca totalmente...Ma che dire dei metodi con cui vengono addestrati programmatori e sistemisti. 2 settimane di corso di visua basic e via... sotto con la produzione; che ne può uscire fuori? I software che escono in edicola e fanno ridere i polli...Oppure del settore elettronico; l'italia produce componenti elettroniche? No, viene tutto importato dall'estero. Perchè? Perchè non c'e' gente in grado di progettare elettronica ed a sua volta non ci sono aziende che investono nell'elettronica dove impiegare i pochi esperti. Al massimo sappiamo riparare i pezzi degli elettrodomestici con i ricambi che arrivano con l'estero...E nelle tlc? Gli operatori di tlc investono più in marketing che in tecnologia...E poi c'e' la piaga dell'anzianità, invece di valorizzare chi vale, chi è dentro da più tempo fa leva sui rapporti personali per tenere fermi quelli che, appena entrati, potrebbero fare molta strada... poltrona a rischio? Ma questo è valido da sempre e per qualsiasi settore.Magari possiamo anche parlare di quanti ricercatori che escono dalle nostre università vengono impiegati qui e quanti emigrano all'estero...O del perchè, se uno sa il fatto suo, è più propenso a lavorare in germania od in inghilterra invece che qui... semplice, gli conviene.La parte bacata del prodotto italiano è il dirigente che lo produce: si deve investire nel personale e si deve rendere le varie certificazioni ISO quelle che erano un tempo... garanzia di qualità, non formalità da espletare per stare al paro dagli altri, magari attraverso il certificatore conosciuto tramite amici...Magari un'altra volta parleremo di quale è il grado di cultura media dei proprietari delle pmi italiane...AnonimoGoverno?
Intanto per questo primo anno ha abbassato la spesa destinata alla ricerca. Dichiara inoltre che il CNR andrebbe smantellato.http://www.bobi2001.it/libro.htm (gentilmente segnalato da punto-informatico)Anonimobasta vedere le università...
Ciao,in Italia chi fa ricerca all'università spesso non sono i meritevoli, ma gli esponenti delle seguenti categorie:- imparentati con prof. universitari (figli, nipoti, cugini e avuncoli vari).- lecchini e portaborse, incompetenti dal punto di vista scientifico, ma capaci di stare fino a notte tarda a sistemare il PC del prof (incapace ovviamente di portare avanti pratiche così infime)- gli schiavi, che magari pur non eccellendo e non rientrando nella categoria precedente, lavorano come ciucci sperando nella grazia del prof, che magari arriva dopo n anni, dopo aver sopportato un numero infinito di angherie e ingiustizie.Poi ci sono i poveri disgraziati che vanno avanti per anni a borse di studio nella speranza di vincere il solito concorso pilotato per ricercatore, ma non rientrando nelle tre categorie precedenti...Chi rimane: quelli veramente bravi o anche geniali (tra cui il sottoscritto NON si annovera), che sono costretti a fuggire all'estero per fare VERA ricerca presso le università o il branch di R&D di aziende che comunque investono in ricerca, e non marketing parolaio e inconcludente presso le solite aziende italiane che NON investono in ricerca.Il sottoscritto ne ha conosciuti alcuni...SalutiAnonimoSe continuano a tagliare i fondi della ricerca...
...l'unica figura professionale che resterà in Italia sarà quella del telefonista di Call Center a contratto temporaneo.Magari potremmo esportarla in Africa...AnonimoNon è solo un problema di ricerca
Non è solo un problema di ricerca, ma anche di "knowledge transfer" tra ricerca e attività produttiva.Finché buona parte delle aziende continuerà a vedere la formazione come un costo e non come un investimento, finché cercherà di assumere personale di basso profilo perché costa meno, finché il marketing riuscirà a nascondere la mancanza di vera innovazione, finché i clienti si accontenteranno di quello che c'è (pagandolo profumatamente), non cambierà nulla.Potremo avere anche splendidi centri di ricerca che rischieranno di rimanere "cattedrali nel deserto", senza nessuna ricaduta sulla produzione.Ma cosa volete fare con dirigenti che sono pronti ad approvare in bilancio la sostituzione biennale della BMW 740 aziendale e poi si lamentano dei costi di personale, hardware e software?AnonimoRe: Non è solo un problema di ricerca
Parole sante...- Scritto da: ldsandon> Non è solo un problema di ricerca, ma anche> di "knowledge transfer" tra ricerca e> attività produttiva.> > Finché buona parte delle aziende continuerà> a vedere la formazione come un costo e non> come un investimento, finché cercherà di> assumere personale di basso profilo perché> costa meno, finché il marketing riuscirà a> nascondere la mancanza di vera innovazione,> finché i clienti si accontenteranno di> quello che c'è (pagandolo profumatamente),> non cambierà nulla.> > Potremo avere anche splendidi centri di> ricerca che rischieranno di rimanere> "cattedrali nel deserto", senza nessuna> ricaduta sulla produzione.> > Ma cosa volete fare con dirigenti che sono> pronti ad approvare in bilancio la> sostituzione biennale della BMW 740> aziendale e poi si lamentano dei costi di> personale, hardware e software?AnonimoGrazie, il tuo commento è in fase di approvazioneGrazie, il tuo commento è stato pubblicatoCommento non inviatoGrazie per esserti iscritto alla nostra newsletterOops, la registrazione alla newsletter non è andata a buon fine. Riprova.Leggi gli altri commentiPubblicato il 10 lug 2002Ti potrebbe interessare