Libro libero ma non troppo

Libro libero ma non troppo

di Valerio Di Stefano. Attenzione: il libro elettronico si sta spostando da strutture aperte a ambienti proprietari, con possibili conseguenze notevolissime sulla diffusione della cultura attraverso questo mezzo
di Valerio Di Stefano. Attenzione: il libro elettronico si sta spostando da strutture aperte a ambienti proprietari, con possibili conseguenze notevolissime sulla diffusione della cultura attraverso questo mezzo


Roma – La discussione che riguarda il libro elettronico, o, meglio, la possibilità
di disporre di un testo in formato digitale da poter scaricare sui nostri computer e sui nostri palmari, si sta facendo ogni giorno più vivace ed appassionata. Le motivazioni di questo rinnovato interesse sono perfino troppo evidenti: avere accesso a una quantità sempre maggiore di testi e poter disporre di una biblioteca personale da “trasportare” comodamente su un CD ROM, anziché in pesanti tomi in formato cartaceo, è uno dei momenti di “sfida” raggiunto dalle procedure informatiche.

Non è il caso di esaminare, qui, i vantaggi che derivano dal disporre di un testo digitale. Da chi è affetto da un handicap visivo a chi fa uso dei data base testuali per interrogare intere banche dati di corpora letterari e non, la gamma di persone che possono trarre beneficio da un testo in formato elettronico, oltre che dal corrispondente oggetto fisico, è vastissima.

Dunque, non ci sono dubbi. Avere un libro sull’hard disk del nostro computer, oltre che sullo scaffale della libreria di casa, serve. E non serve solo a chi abbia bisogno di stamparsi in caratteri ingranditi il testo dell’incontro tra Don Abbondio e i Bravi nei “Promessi Sposi”, o il canto del Conte Ugolino nell’Inferno dantesco, o a chi abbia bisogno di vedere quante volte compare la parola “amore” nei poeti italiani dalle origini, ma anche a chi ha bisogno di verificare la ricchezza lessicale di un determinato testo o, addirittura, di compiere una attenta autovalutazione su ciò che si scrive (il testo digitale serve in primo
luogo a chi lo scrive, anche se quest’ultimo lo negherà spudoratamente).

Lo dimostra il fatto che si sta parlando sempre più insistentemente della possibilità di realizzare software open source per la lettura dei libri elettronici nei formati più diffusi.

La tendenza che, invece, a mio giudizio, dovrebbe suscitare alcune preoccupazioni, è vedere come il libro elettronico stesso stia attraversando una pericolosa inversione di tendenza, andando da quello che era il formato aperto per eccellenza (la disponibilità in formato testo ASCII o ANSI) ai formati proprietari, chiusi per definizione, anche qualora le specifiche dovessero essere note.

L’editoria elettronica comincia, ovviamente, con il volontariato. Chi scrive vi può assicurare che non esiste nessun motivo apparentemente valido per trasporre un’opera letteraria (perché è con i testi letterari che la “storia” è cominciata, ed è con la letteratura che la fortuna del libro elettronico sta andando avanti per la sua strada, checché se ne dica) in caratteri digitali, sia che l’operazione venga fatta manualmente (cioè copiando un testo) sia che l’operazione venga fatta mediante uno scanner e un OCR, per scalcinati che siano. Si tratta di una operazione lunga, costosa, che richiede attenzione, tempo, sacrificio e che non paga.

Purtroppo la legge sul diritto d’autore non prevede ancora il riconoscimento della figura di chi “copia”, trasponendolo, un testo in un formato digitale. Lo dico con una punta di ironia, perché personalmente sono convinto che sia giusto così, e perché ritengo che il volontariato debba esse dono gratuito di un momento della propria attività e del proprio tempo a beneficio della collettività. Naturalmente è anche possibile decidere di non dedicarsi affatto al volontariato, se si crede opportuno percorrere un’altra strada. L’importante è che le cose siano chiare.

Quando in Italia sono cominciate a fiorire le prime iniziative di biblioteche elettroniche gratuite, negli Stati Uniti, iniziative come il “Gutemberg Project” potevano contare su una disponibilità di titoli numericamente molto consistente. Questo “gap” tra Italia e resto del mondo in tema di editoria elettronica è rimasto invariato, e il nostro paese, lungi dal comare il divario esistente tra ciò che è disponibile in formato digitale e ciò che rimane ancora sugli scaffali impolverati delle biblioteche senza raggiungere la grande massa degli utenti, si sta adeguando pericolosamente a una politica di chiusura che certamente non giova a nessuno.

E’ chiaro che il libro elettronico gratuito deve fare i conti con il problema del diritto d’autore. Questo ci porta ad avere a disposizione testi vecchi di almeno settant’anni, o traduzioni ormai inservibili, inserite all’interno di edizioni in HTML magari molto ben curate dal punto di vista estetico, ma non utilizzabili per quello che è lo scopo primario di un testo, la sua lettura e la sua consultazione.

Il libro, anche quello elettronico, è un oggetto che va rispettato e, come affermava Umberto Eco, “i libri si rispettano usandoli”. Personalmente sono molto contento di poter disporre in Italia del Don Chisciotte di Cervantes con le tavole di Gustavo Doré, ma la contentezza si stempera in una inevitabile delusione nel momento in cui scopro che la traduzione offerta non solo è pessima, ma è addirittura poco consona all’orecchio del destinatario finale dell’iniziativa, il lettore. Questo non solo perché sono un professore di lingua e letteratura spagnola e l’argomento Cervantes mi tocca da vicino (questi sono i miei strumenti di lavoro), ma anche e soprattutto perché certo pressappochismo nella scelta dei testi viene spesso giustificato dal fatto che col volontariato non si possono avere pretese e, quindi, o si mangia questa minestra o si salta dalla finestra. E il risultato è che in rete circolano edizioni elettroniche della “Commedia” di Dante fatte passare per “edizioni critiche”, quando non c’è neanche una nota di commento o di introduzione, o versioni della Costituzione della Repubblica Italiana che non vengono aggiornate alle ultime disposizioni.

Il mio pessimismo mi porta a concludere che questi atteggiamenti non fanno bene né al libro elettronico italiano, né alla diffusione della nostra letteratura in Internet ma, contemporaneamente, il mio ottimismo mi porta a dire che un libro elettronico, per cattivo che sia, è sempre meglio di niente.

Per cui, tornando all’esempio della Costituzione, se io ho a disposizione un file ASCII del testo, posso scegliere di aggiornarlo per conto mio, fare una collazione (per dirla con la filologia) con il testo più recente, cambiarne la formattazione importandolo in un word processor, evidenziare certi passaggi che mi interessano e quant’altro.

Naturalmente posso decidere di mettere a disposizione il mio lavoro a favore della collettività, oppure posso scegliere di essere egoista (non c’è nulla di male ad essere egoisti) e di tenere il risultato del mio lavoro per me perché, comunque, si tratta di tempo che ci ho perso e decido io se mettere a disposizione il mio tempo. Credo che ambedue le posizioni siano ugualmente rispettabili, non si lavora sempre gratis, anche perché così facendo, difficilmente si mangia. Certo, la nostra notorietà sarà notevolmente accresciuta, qualcuno magari ci sarà perfino grato per il lavoro svolto, ma il nostro stomaco sarà inevitabilmente vuoto. Con la pancia piena, invece, si può pensare anche a fare qualcosa per chi la pancia piena non ce l’ha. Sono scelte individuali. In Internet la gente si sta azzuffando da anni per decidere se sia meglio lavorare per la gloria e gratis o per la gloria e facendosi pagare. Se si riuscisse a capire che si tratta di scelte personali e inalienabili, forse la gente la smetterebbe di scannarsi.


In Italia e all’estero, le iniziative a favore del libro elettronico “chiuso” si sono moltiplicate. Un corpus di testi della letteratura in CD ROM, per esempio, quale la LIZ della Zanichelli, non permette al lettore di accedere al testo originale dell’opera presentata, presentandone solamente la lettura, e questo è comprensibile e senz’altro condivisibile in quanto l’opera si presenta principalmente come un data base e non come una biblioteca. In altre parole, la lettura è un “accessorio”.

Ma là dove lo scopo dell’opera multimediale, più che di interrogazione diventa mera consultazione bibliografica (come è il caso della Storia della Letteratura della Einaudi), l’impossibilità di poter copiare, selezionare, importare e riprodurre parti del testo originale dell’opera diventa una vera e propria limitazione ai file.PDF che vengono allegati. E, si badi bene, non parlo certo dell’apparato critico di un’opera (quelle che per i non addetti ai lavori possono essere le note a piè di pagina o le introduzioni, prefazioni e postfazioni), ma del mero testo di un’opera caduta ormai in pubblico dominio.

Questo è il punto fondamentale: a cosa giova trasformare un testo letterario di pubblico dominio in un file le cui informazioni non possano essere raggiunte dall’utente medio? La risposta sembra ovvia: a niente.

Eppure nel nostro paese (e non solo qui, evidentemente, basti considerare la politica di incredibile restrizione adottata dalla biblioteca digitale spagnola www.elaleph.com, che prima ha distribuito i testi dei classici in formato.PDF protetto – i testi potevano solo essere stampati -, e con tanto di password, e in seguito lo ha fatto trasformandoli in un formato proprietario ancora più “chiuso”) la moda del formato Microsoft Reader sembra farla da padrona.

Al contrario di quello che viene spesso scritto in giro, non penso che la disponibilità della stessa opera letteraria in più formati sia necessariamente sinonimo di ricchezza. Eppure, accanto alle versioni.TXT delle opere di Capuana, del Verri e dell’Ariosto, non è raro trovare la corrispondente trasposizione in.LIT, disponibile, ad esempio, su www.romanzieri.it . Mondadori mette in vendita un ricco catalogo di classici italiani in formato e-book, e sembra che la cosa venga considerata perfettamente normale.

Si potrà obiettare, giustamente, che questo formato è particolarmente indicato per la lettura sui palmari, ma il problema non si risolve certamente con questo tipo di giustificazione. Negando l’effettivo accesso al testo, se non per la sola lettura, si snatura l’essenza stessa del libro, facendolo diventare un oggetto di pura fruizione e non di interazione (come invece dovrebbe essere).

Non si tratta di negare a chi esercita il diritto d’autore di poter disporre della creazione del proprio ingegno come meglio crede. Che Stephen King distribuisca via Internet la sua ultima creazione letteraria in un formato che somiglia più a Fort Knox piuttosto che a un archivio digitale non deve assolutamente spaventare. Ciò che è preoccupante è che quella cultura che effettivamente appartiene al mondo, venga asservita alla logica dell’editoria. Anche quella elettronica.

Valerio Di Stefano

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Pubblicato il
29 nov 2001
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