Web (internet) – L’e-mail non dà alcuna garanzia di sicurezza, a meno che non si faccia ricorso a sistemi di criptazione. Non bisognerebbe scrivere mai in un messaggio di posta elettronica ciò che mai si scriverebbe in una tradizionale cartolina.
L’avvertimento circola su Internet dal lontano mese di ottobre 1995. E’ contenuto nella Netiquette , il documento che stabilisce le linee guida del comportamento in rete. In questi cinque anni l’uso dell’e-mail si è intanto diffuso a macchia d’olio ma, paradossalmente, il grado di sicurezza di questa nuova forma di comunicazione si è affievolito quanto più si sono evolute le tecnologie di controllo dell’individuo.
Sui temi legati alla privacy e alla violazione della corrispondenza si continuano a spendere fiumi di inchiostro e quantità incalcolabili di byte. La violazione della posta elettronica può avere ricadute sul piano etico o deontologico, investire i rapporti personali, quelli familiari, ledere l’intimità della persona o la sua dignità professionale. Ma sono gli aspetti giuridici quelli più dibattuti.
Nei giorni del lancio della versione 2.05 di Investigator , il software in grado di monitorare e registrare tutte le attività dei computer collegati ad una rete aziendale, Stand By fa il punto sullo stato dell’arte.
Le ragioni della legge… E ancora prima quelle della Carta costituzionale italiana.
L’art. 15 tutela espressamente la libertà e la segretezza della corrispondenza facendo rientrare in tale notazione – oltre alle forme più tradizionali – anche “ogni altra forma di comunicazione”. Il Garante della privacy ha ricordato di recente il ruolo svolto in tal senso anche dal Dpr 513/1997 in materia di documenti elettronici (l’art.13 riguarda proprio la segretezza della corrispondenza trasmessa per via telematica), dalla legge sulla privacy, – la 675 del 1996 – e dalla 547 del 1993 che ha modificato l’art. 616 del codice penale, aggiornato il concetto di corrispondenza, includendo in quest’ultimo anche la corrispondenza informatica, telematica, “ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza”. Chi contravviene alle disposizioni rischia fino a un anno di reclusione o una multa fino a un milione di lire.
I messaggi trasmessi via Internet, ha evidenziato Stefano Rodotà , sono da considerare corrispondenza privata a tutti gli effetti. Andrebbe dunque a priori scartata ogni ipotesi di controllo su e-mail o messaggi inviati tramite mailing-list, newsgroup, chat, anche nel caso di accesso alla rete attraverso strutture messe a disposizione dell’azienda di appartenenza.
… e quelle della giurisprudenza. Dall’equiparazione legislativa delle nuove forme di comunicazione alla corrispondenza tradizionale si deduce che ai rapporti intrattenuti tramite e-mail possano estendersi molte delle posizioni giurisprudenziali relative alla posta tradizionale.
Nel 1997, ad esempio, la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità del coniuge nel caso di violazione di corrispondenza personale finalizzata alla produzione dei contenuti come mezzo di prova in un giudizio di separazione, precisando che il reato di violazione si configura a prescindere dalla palese segretezza o non segretezza del suo contenuto (Cass. pen., sez. V, 10 luglio 1997).
Già qualche anno prima un’altra sentenza aveva messo in guardia da forme di impossessamento della posta che avessero quale finalità – al di là alla semplice presa di cognizione – anche la realizzazione di un profitto (inteso oltre che come vantaggio economico, come soddisfazione morale o di qualsiasi altra natura). In questo caso, la Cassazione ravvisava il concorso formale del delitto di furto con quello di sottrazione (Cass. pen., sez. I, 2 novembre 1994).
L’equiparazione giuridica dell’e-mail alla posta tradizionale anche in ambito lavorativo risale addirittura a cinque anni fa. Nel 1995 una sentenza della pretura di Milano ha legittimato l’impiego, da parte del titolare di un’azienda, della posta elettronica per comunicare direttamente con i propri dipendenti, visto che tale utilizzo non costituisce condotta antisindacale” (Pret. Milano, 3 aprile 1995).
Questo è solo uno degli aspetti di una questione scottante. Sull’altro versante c’è il tema più dibattuto degli ultimi anni. Cosa può giustificare l’intrusione del datore di lavoro nella posta elettronica dei propri dipendenti, a quali condizioni e per quali motivi ciò può avvenire?
La risposta a tali quesiti riteniamo debba prescindere dal contenuto dei messaggi e da ogni valutazione di merito sull’utilizzo dei mezzi aziendali per scopi privati. Il datore di lavoro, al pari di ogni altro cittadino, non può certamente sottrarsi alle statuizioni in materia sopracitate, anzi – così come da più parti sostenuto – egli non può certamente esimersi dal dovere – in primo luogo morale – di avvisare i propri dipendenti dell’eventuale attivazione di sistemi elettronici di monitoraggio del traffico dati sulla rete aziendale.