Nuovi chip, batteri rivestiti di silicio

Nuovi chip, batteri rivestiti di silicio

L'Università di New York sta studiando uno speciale tipo di biotransistor, frutto dell'unione fra silicio e batteri, che potrebbe permettere la produzione di chip microscopici. Ma qualcuno già parla di "diritti dei batteri"
L'Università di New York sta studiando uno speciale tipo di biotransistor, frutto dell'unione fra silicio e batteri, che potrebbe permettere la produzione di chip microscopici. Ma qualcuno già parla di "diritti dei batteri"


Buffalo (USA) – Sembra che il vecchio detto “non tutto il male viene per nuocere” valga anche per il mondo dei chip. La State University di New York (SUNY) ha infatti scoperto che un tipo di batteri che infestava alcune linee produttive di semiconduttori, resistente praticamente ad ogni metodo di “disinfestazione” tradizionale, potrebbe essere proficuamente integrato all’interno del silicio per dar vita a nuove e interessanti varianti di biochip.

Indagando sui motivi che consentivano a questi batteri di sopravvivere alle cosiddette “clean room”, le stanze asettiche dove vengono prodotti i microchip, i ricercatori della SUNY hanno scoperto che questi “parassiti” inducevano lo strato semiconduttore più esterno del chip a crescere sopra di essi: in questo modo i batteri venivano inglobati all’interno del silicio che gli faceva così da scudo contro i raggi ultravioletti delle clean room.

Come succede per altre razze di batteri “duri a morire”, ad esempio quelli che sopravvivono nel vuoto od in altre condizioni limite, anche questi amanti del silicio sembrano in grado di ibernarsi indefinitivamente per risvegliarsi e tornare poi a proliferare sotto particolari eventi esterni, come ad esempio un debolissimo impulso luminoso.

Da qui l’idea di integrare questi batteri fotosensitivi in un transistor e dar vita a dei biotransistor in grado di cambiare stato (aperto/chiuso) al semplice passaggio di un impulso luminoso.
Tutto questo può essere paragonato alla fotosintesi clorofilliana delle piante, dove la luce viene trasformata in energia: nei biotransistor infatti l’impulso di luce serve a “risvegliare” i batteri e sfruttare la loro emissione di elettroni per far cambiare di stato un tradizionale transistor.

Grazie a questo nuovo tipo di biochip sarà possibile, in un futuro non troppo lontano, produrre chip delle dimensioni di soli 5 micron, e in grado di consumare una frazione dell’energia di quelli attuali.

Oltre che nei comuni chip, i biotransistor potrebbero essere impiegati anche per amplificare il segnale luminoso che viaggia all’interno delle fibre ottiche, rendendo così questa tecnologia trasmissiva ancor più potente e duttile dell’attuale.

Leggendo alcuni commenti su Slashdot.org , sembra che le biotecnologie non siano destinate ad alzare polveroni solo in campo alimentare: alcuni si domandano infatti quanto sia etico “schiavizzare” dei poveri batteri. Al posto delle “Tre leggi dei robot” di Asimov ci ritroveremo forse a stilare la “Carta per i diritti dei batteri”?

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Pubblicato il
3 ago 2000
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