Stando a quanto sostengono i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology , il futuro dei transistor ultra-piccoli non è nel silicio e nemmeno nei nanotubi, nei memristori o altrove: tra qualche anno i microchip saranno composti da transistor di arseniuro di indio e gallio , dicono dal MIT, un composto che ha notevoli vantaggi rispetto al silicio. Ma anche gli svantaggi non scherzano.
Al MIT sono riusciti a realizzare un transistor di arseniuro di indio e gallio lungo appena 22 nanometri, vale a dire lo stesso “nodo” produttivo attualmente usato da Intel per il suo processori commerciali (con i 14 nm già in vista). Nulla di particolarmente nuovo, dunque, non fosse per le intrinseche qualità del composto impiegato.
Un transistor di questo tipo è infatti cinque più efficiente nella conduzione di elettroni (e quindi di corrente elettrica) rispetto al silicio, dicono i ricercatori, e “scala” più facilmente verso il basso, tanto che al MIT intendono scendere al di sotto dei 10 nm alla fine dello studio.
La produzione dei transistor di arseniuro di indio e gallio è avvenuta attraverso l’impiego di tecniche già usate nella produzione di microchip industriali ( molecular beam epitaxy , electron beam lithography), con la differenza non da poco di averle testate su qualcosa di diverso dal silicio.
Per quanto riguarda l’adozione del nuovo materiale su larga scala, a ogni modo, ci sono da considerare le non banali controindicazioni del caso. Soprattutto una, il costo: il materiale semiconduttore costa 10 volte di più del silicio.
Alfonso Maruccia