Il Consiglio dell’ONU per i Diritti umani ha aperto una discussione sul diritto alla privacy nell’era digitale, assolutamente centrale nel dibattito sui diritti umani.
La posizione raggiunta dai prestigiosi partecipanti al confronto, accademici e diplomatici, è univoca : l’era digitale ha aperto la porta all’emancipazione, ha accorciato le distanze ed ha rappresentato forse il più grande movimento di liberazione a cui il mondo abbia assistito e partecipato.
C’è però un “ma”: le grandi piattaforme digitali veicolo di questa libertà sono vulnerabili alla sorveglianza, alle intercettazioni ed alla raccolta di dati. Tutte questioni che sollevano non poche preoccupazioni a livello globale .
Da un lato, infatti, nei paesi autoritari i movimenti di resistenza sfruttano le piattaforme di social networking e i social media per incanalare i moti di scontento, mentre le autorità individauno attraverso telefonini e malware di spionaggio i protagonisti della resistenza. D’altro canto anche i governi cosiddetti democratici hanno dimostrato (come ha mostrato Edward Snowden scatenando il Datagate) di non avere remore a sfruttare le nuove tecnologie, sempre nell’ottica del perseguimento della sicurezza nazionale e della lotta al terrorismo, in barba alla privacy dei suoi cittadini nonché dei trattati internazionali vigenti in materia.
Così, l’argomento della privacy degli utenti nell’era digitale è diventato centrale nel moderno dibattito sui diritti umani : una situazione in cui diventa ancora più stridente il contrasto tra confini territoriali dei poteri degli stati e transnazionalità delle tecnologie e delle comunicazioni digitali.
Proprio in questo senso l’intervento delle Convenzioni di diritto internazionale sarebbe determinante : non tanto dal punto di vista normativo (dal momento che sembrano già esserci sufficienti norme, definizioni e diritti sulla carta), quanto da quello dell’ enforcement dei diritti così riconosciuti.
Claudio Tamburrino