Paura da Internet

Paura da Internet

di M. Mantellini. Al capitalismo industriale si sostituirà quello culturale. Non è detto che ci sia da esserne contenti. Nel periodo industriale la cultura era uno spazio "libero". Ora le cose cambiano
di M. Mantellini. Al capitalismo industriale si sostituirà quello culturale. Non è detto che ci sia da esserne contenti. Nel periodo industriale la cultura era uno spazio "libero". Ora le cose cambiano


Web – Internet e globalizzazione sono due termini che viaggiano nel medesimo scompartimento, eppure in Italia, a tutt’oggi, il problema di come gestirli non è stato ancora affrontato. Siamo nella fase dell’innamoramento verso una nuova tecnologia che stenta ad affermarsi nonostante venga invocata da tutti, verso una economia che a parole favorirà ogni classe sociale, verso una società civile che la democrazia digitale renderà, dicono, più aperta e maggiormente cosciente dei propri diritti.

Jeremy Rifkin, nel suo ultimo provocatorio saggio sull’evoluzione tecnologica (L’era dell’accesso, Mondadori L.35000) scrive che nell’economia mondiale all’interesse per la proprietà privata si sta gradatamente sostituendo quello per la proprietà intellettuale; nel mondo dell’accesso alla rete sarà infinitamente più importante disporre di beni volatili che non di massicci immobili zona-centro, si privilegierà la fruizione all’acquisto, il noleggio alla compravendita.

E ‘ una conseguenza della ben nota legge di Moore, quella regolina inventata da un boss della Intel che teorizzò, sbagliandosi di poco o nulla, che la potenza dei calcolatori si sarebbe raddoppiata ogni diciotto mesi a parità o a fronte di una lieve riduzione del prezzo degli stessi. La puntualità con cui il calcolo di Moore si è dimostrato esatto fino a oggi ha sconvolto più di un economista e portato molti a prodursi in considerazioni sulla “caducità delle cose”.

Che senso ha che io acquisti un bene che fra un anno e poco più sarà vecchio e senza mercato?

L’interesse verso il possesso degli oggetti – sostiene Rifkin – è destinato a ridursi fortemente: la velocizzazione del cicli di consumo non riguarda infatti solo i computer ma, sempre più spesso, anche altri beni di largo consumo, dagli elettrodomestici alle automobili.

C’è una diffusa consapevolezza del fatto che gli operatori delle comunicazioni saranno i capitalisti di domani; lo sanno gli azionisti che si interessano ormai quasi esclusivamente di titoli tecnologici; lo sanno i soggetti forti dell’economia mondiale, tutti impegnati in complesse riconversioni delle proprie attività, ce ne accorgiamo perfino noi, con qualche sgomento, poiché il grande occhio indagatore del comunicatore si spinge sempre di più dentro le nostre case a valutare i nostri gusti e le nostre inclinazioni. Al capitalismo industriale si sostituirà quello culturale. Non è detto che ci sia da esserne contenti. Se nel periodo industriale infatti la cultura era ancora uno spazio individuale e libero, esulando in gran parte dalle transazioni economiche che riguardavano altri beni, nell’era dell’accesso non sarà più così.

Qualcuno in questi giorni si chiedeva in USA se non fosse il caso di equiparare lo spamming (contro il quale è stata varata una legge federale) al sempre più selvaggio assalto televisivo e telefonico da parte di un mercato pubblicitario ogni giorno più spregiudicato e aggressivo.

Le aziende americane, da parte loro, controllano non più solo la posta elettronica dei loro dipendenti senza informarli, ma con le ultime realese di software di “ascolto” sempre più complessi e nascosti, scrutano e archiviano persino il contenuto di qualunque pagina di testo che appaia sui PC aziendali. Figuratevi cosa potrà accadere quando l’accesso alle reti sarà assai più capillare di oggi, quando i beni da acquistare saranno sempre più spesso pacchetti digitali in mano a un ristretto numero di fornitori, quando gli spazi di solitudine e anonimato saranno ancor più limitati dalla necessità di disporre di servizi personalizzati e puntuali per ognuno di noi. Così almeno ci verrà detto.

Immaginate poi cosa potrà avvenire in paesi come il nostro, tradizionalmente disinteressati alle forme di tutela “attiva” della libertà individuale, unico contrappeso possibile al potere dei collezionatori di informazioni; informazioni più o meno sensibili ma in ogni caso e comunque “nostre”.

Uno dei pochi meriti dell’amministrazione italiana nel campo delle nuove tecnologie in questi anni, è stato quello di fornire al cittadino strumenti come la attuale legge sulla Privacy (non a caso una legge pesantemente osteggiata da svariati gruppi di potere, dalle banche alle multinazionali). Una bella legge che non sarà comunque da sola sufficiente se non ci renderemo tutti conto che, nell’era dell’accesso, all’aumentare delle nostre opportunità di comunicazione, aumenta anche la nostra vulnerabilità e la possibilità tecnica di controllo sulle nostre vite da parte dei soggetti più vari. Essere moderni oggi significa prima di tutto guadagnare questa consapevolezza preziosa. E ‘ una battaglia che nel nostro paese deve ancora iniziare.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
28 apr 2000
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