Quel tirchio di Google

Quel tirchio di Google

Così alcuni dei designer invitati a illustrare bottoni e icone del browser di Mountain View. Vogliono essere pagati. Ma secondo BigG, far parte di Chrome è già un privilegio
Così alcuni dei designer invitati a illustrare bottoni e icone del browser di Mountain View. Vogliono essere pagati. Ma secondo BigG, far parte di Chrome è già un privilegio

Sta suscitando numerose polemiche tra gli addetti al settore la campagna proposta da Google volta a portare artisti e designer grafici a realizzare delle skin d’autore per il suo browser: dopo aver chiamato a raccolta uno stuolo di talentuosi designer per rivestire il minimalista Chrome, BigG ha risposto picche alla richiesta di specificare un compenso per un lavoro che ritiene essere non degno di retribuzione economica.

Questo perché, secondo le menti di Mountain View, dare la possibilità di poter dare una visibilità garantita da milioni di utenti al lavoro di chi si cimenterà con la realizzazione del prèt-a-installèr per il minuto browser costituisca una ricompensa più che ragionevole. Tuttavia questo non basta, secondo i numerosi designer che hanno cestinato con evidente indignazione la proposta del colosso del web, raccogliendo poi le proprie lamentele su Drawger , sito di riferimento per la comunità di illustratori grafici.

Secondo il pensiero degli artisti, che spesso fanno della loro passione il proprio mestiere, l’atto di Google è macchiato dalla vergogna di possedere un fatturato da capogiro e non voler pagare il lavoro altrui. Diverso sarebbe stato, a loro avviso, l’andazzo se BigG avesse istituito un contest per artisti e grafici esordienti o comunque meno blasonati di coloro che sono stati contattati dall’azienda, persone che vantano collaborazioni con nomi dal comprovato blasone come Newsweek e New York Times .

Benvenga la promozione e la visibilità al grande pubblico, purché sia retribuita: “Quando un’azienda come Google esce allo scoperto in questa maniera aspettandosi che il libero mercato gli conceda gratuitamente il proprio lavoro si crea un precedente pericoloso per tutti noi” spiega Brian Stauffer, illustratore con alle spalle numerose esperienze. Dal canto suo Google taglia corto dichiarando che le loro strategie non prevedono alcun tipo di compensazione economica per questo tipo di prestazione, e di aver trovato altri artisti disposti con entusiasmo a sottostare alle proprie richieste.

Il nocciolo della questione, comunque, sembrerebbe ruotare non intorno alla retribuzione della prestazione – che dovrebbe essere sempre dovuta in maniera da ricompensare gli sforzi profusi – bensì intorno al valore reale dell’oggetto del contendere, ovvero le skin per il browser: esistono intere comunità online di artisti pronti a distribuire il proprio lavoro in maniera gratuita, deviantART giusto per citarne una tra le più famose. Queste palestre per giovani designer, se da un lato aumentano l’offerta di servizi al pubblico, dall’altro fanno lievitare l’ammontare di risorse gratuite per gli utenti creando uno svantaggio per chi si cimenta a livello professionale, abbassando il valore di mercato di questo tipo di lavoro.

Comunque, quella delle skin non è l’unica campagna indetta da BigG per promuovere il suo browser, che va a battagliare in un territorio non semplice contro giganti come Safari, Firefox, Opera e Internet Explorer: a questo proposito l’azienda californiana ha lanciato un contest volto alla creazione di video virali in cui gli utenti si cimentano nel disegnare il logo di Chrome, ovvero quella pallozza tonda e schiacciata. Dalle torte ai magneti, dai palloncini alle divise di hockey: tutto va bene pur di rendere virale l’ennesima campagna per il browser, che già conta un tot di corti professionali ospitati sull’ apposito canale YouTube.

Vincenzo Gentile

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Pubblicato il 17 giu 2009
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