RANDOM18/Censura sulla rete: il caso Burn!

RANDOM18/Censura sulla rete: il caso Burn!

Alle idee scomode c'è ancora chi reagisce cercando di sopprimerle. Solo per scoprire che il sequestro improvviso di un server non solo non cambia le cose ma si rivela un boomerang
Alle idee scomode c'è ancora chi reagisce cercando di sopprimerle. Solo per scoprire che il sequestro improvviso di un server non solo non cambia le cose ma si rivela un boomerang


Web – Uno dei miti relativi ad Internet più duri a morire è quello che vuole la Rete come un luogo completamente “senza padroni”, una sorta di zona franca dove vige il caos più sfrenato, dove tutti possono fare quello che vogliono senza che nessuno possa impedirlo.

Questa visione andrebbe ridimensionata dalla semplice constatazione del fatto che la comunicazione elettronica passa attraverso computer, linee telefoniche e satellitari, che hanno dei proprietari ben definiti i quali potrebbero facilmente interrompere (come spesso hanno fatto) buona parte di questa presunta “anarchia”.

D’altra parte è anche vero che – fortunatamente – i tentativi di censura delle idee scomode non sempre vanno a buon fine, o almeno non lo andranno facilmente fino a quando non verranno trovati degli accordi internazionali che regolamentino definitivamente la Rete e cancellino quel poco di libera comunicazione che ancora circola.

E ‘ questa la “morale” che si può trarre dalla storia di “Burn!”, un server “rivoluzionario” che ha iniziato la sua carriera nel lontano aprile del 1993 ospite del Dipartimento della Comunicazione della prestigiosa University of California di San Diego (UCSD), una istituzione privata come ce ne sono tante in Usa. Le numerose (più di 4800 articoli) pagine ospitate sono come quelle che si possono trovare in Rete gestite da militanti di estrema sinistra: notizie di attualità e di storia dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo, più un archivio iconografico particolarmente ricco e curato con la riproduzione di centinaia di manifesti e foto sui temi delle lotte sociali.

La disavventura inizia il 31 maggio scorso alle 15 (ora locale) quando i tecnici della UCSD scollegano la macchina di “Burn!” dalla Rete. Stando alle voci ufficiali la decisione sarebbe stata presa per “l’inusuale aumento delle proteste che normalmente il Dipartimento riceve” a causa dei contenuti del server incriminato e perché non esisterebbe un responsabile del collettivo che gestisce l’archivio sul quale l’Università possa rifarsi in caso di problemi legali.

I gestori di “Burn!”, ovviamente, la raccontano in modo alquanto diverso. Secondo il collettivo, tutto è cominciato qualche settimana prima quando sono inziate ad arrivare proteste di personaggi anche importanti a proposito delle pagine che il server dedica alle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) un gruppo di guerriglieri sudamericani. La settimana prima della chiusura forzata c’era stato anche un incontro tra i gestori di “Burn!” e la direzione del Dipartimento che aveva ingiunto loro di rimuovere le pagine incriminate, cosa che non era stata fatta. Questo ha fatto scattare la censura.

Ma la sola chiusura del sito evidentemente non bastava. A quanto hanno dichiarato i gestori, una volta che si sono recati a ritirare (nell’ufficio del Direttore) il computer che ospitava l’archivio hanno trovato danneggiato sia la CPU che l’Hard Disk, come se qualcuno avesse voluto infierire ulteriormente anche sull’hardware.

Per fortuna, la notorietà dell’archivio e la inusuale brutalità del comportamento delle autorità accademiche che, tra le altre cose, avrebbero impiegato ben sette anni per accorgersi dell’esistenza di “Burn!” e dei materiali che esso conteneva, hanno sollevato le proteste dei più sensibili ai problemi della libertà di espressione su Internet.

E così, dopo nemmeno una settimana dall’improvvisa chiusura, le pagine dell’archivio censurato sono ricomparse in Rete e, questa è la parte più bella, sono ancora ospitate dalla medesima istituzione che le aveva cancellate cedendo alle pressioni esterne. Infatti una organizzazione studentesca, regolarmente riconosciuta dalla UCSD, ha deciso di ospitare sul suo server l’archivio di “Burn!” e di prendersene pubblicamente le relative responsabilità, risolvendo in un colpo solo entrambi i problemi del sito.

Tutto è bene quel che finisce bene, verrebbe da pensare, resta solo da vedere se coloro che hanno agito nell’ombra per cancellare una voce libera dal web accetteranno pacificamente questa sonora lezione.

Giuseppe

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Pubblicato il
16 giu 2000
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