Realtà virtuale per il marketing: la mente si inganna

Realtà virtuale per il marketing: la mente si inganna

Un esperimento dimostra che manipolare oggetti virtuali induce a rappresentazioni mentali fallaci: le funzioni dell'artefatto che si ricordano sono più numerose di quelle esperite. Mediti il marketing, fra opportunità e rischi
Un esperimento dimostra che manipolare oggetti virtuali induce a rappresentazioni mentali fallaci: le funzioni dell'artefatto che si ricordano sono più numerose di quelle esperite. Mediti il marketing, fra opportunità e rischi

La realtà virtuale, l’interazione simulata con gli oggetti, non è soltanto un ottimo strumento per l’apprendimento o un’opportunità per intrattenersi in mondi sorprendenti e immersivi. È un investimento per il marketing: smanettare con un oggetto virtuale imprime nella mente ricordi vividi e modelli consistenti. Talmente consistenti che la mente si tradisce , e ricorda addirittura più di quanto abbia esperito .

Lo ha dimostrato Learning Through Virtual Product Experience: The Role of Imagery on True Versus False Memories , uno studio condotto da Ann Schlosser , docente di marketing alla Business School dell’Università di Washington.

173 studenti sono stati divisi in due gruppi. Ciascuno aveva cinque minuti di tempo per esplorare due siti che illustrano le funzioni di una macchina fotografica digitale: il primo consente di interagire con una rappresentazione di pixel dell’oggetto, il secondo garantisce le stesse informazioni in forma testuale e in forma di immagine. I due gruppi hanno poi risposto ad un questionario pensato per sondare le loro reazioni all’esperienza fatta.

Alla richiesta di associare i tasti della macchina fotografica alla funzione assolta, le migliori performance sono state ottenute dal gruppo che ha interagito con il modello virtuale.
Alla richiesta di riconoscere quali, fra le dieci funzioni indicate, fossero presenti o assenti nella macchina fotografica presentata, il gruppo che ha interagito con il modello virtuale ha attribuito all’oggetto un maggior numero di funzioni rispetto a quelle reali.

L’interazione simulata esalta la produzione di vivide rappresentazioni, di modelli mentali costruiti sull’associazione tra azioni compiute sull’oggetto, percezioni, e reazioni dell’artefatto.

I modelli costruiti a partire da esperienze su oggetti reali come su artefatti virtuali, vengono immagazzinati nella memoria a lungo termine come se fossero una rete di collegamenti tra cause ed effetto, tra azioni e reazioni. Per questo, nello svolgere i compiti associativi richiesti dal questionario, sono stati facilitati coloro che hanno potuto manipolare l’artefatto virtuale. Gli oggetti statici e i testi scritti sono invece unidirezionali, non garantiscono feedback: per questo motivo è stato più complesso, per coloro che hanno esplorato il sito testuale e visuale, richiamare alla mente l’associazione tra tasto e funzione. A differenza delle esperienze reali, però, l’interazione simulata è più scarsa di dati sensoriali. Interagire con il mouse su un artefatto di pixel è un’esperienza meno intensa e densa di dati rispetto alla passeggiata in un negozio, rispetto all’adocchiamento del prodotto fra quelli esposti, al saggiarne la consistenza o i tempi di risposta, a sperimentarne tutte le funzioni con la complicità di un venditore compiacente. Nelle interazioni simulate è l’immaginazione a sopperire a queste sensazioni , per questo motivo è probabile che la mente umana si inganni, producendo delle false memorie positive , ricordando più di quel che realmente ha esperito.

Il marketing è sempre più esperienziale , coinvolgente.

La stessa Schlosser ha dimostrato che la possibilità di interagire, anche virtualmente, con degli artefatti è un significativo stimolo all’acquisto. Consente di superare i filtri attenzionali che il consumatore frappone abitualmente tra se stesso e la pubblicità tradizionale che lo costringe alla passività, e permette, mediante un’ esperienza ludica , di intrattenere e attirare l’attenzione anche di colui che non medita di acquistare.

Questa strategia di marketing del coinvolgimento, ormai rodata per il web e interessante in prospettiva di una tv digitale terrestre diffusamente dotata di un canale di ritorno, riflette l’intenzione di stabilire un rapporto intenso e di valore con il consumatore.

Può sembrare allettante , per le intenzioni degli uomini del marketing, lasciare che il consumatore immagini funzioni inesistenti e si crei aspettative riguardo al prodotto. Ma se, come recita il Cluetrain Manifesto , i mercati sono conversazioni e se la fiducia è fondamentale per stabilire questo rapporto interlocutorio con lo stakeholder , il proposito di non raggirarlo è importante almeno quanto il proposito di coinvolgerlo. Sono necessari, quindi, un approccio onesto e accurati test riguardo ad ogni campagna, affinché il consumatore non si appelli costantemente al diritto di recesso, ma soprattutto, affinché non perda la fiducia nei confronti dell’azienda.

La realtà virtuale è inoltre stata, prima delle applicazioni pubblicitarie, un mezzo (relativamente) economico e sicuro per l’addestramento a compiti complessi: si pensi ai simulatori di volo o alle simulazioni di interventi chirurgici. La creazione di false memorie positive in questo campo rimane un aspetto ancora insondato.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
11 dic 2006
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