Reuters e Goria, i tempi della concorrenza

Reuters e Goria, i tempi della concorrenza

di G. Scorza - Le notizie in rete fluiscono con una rapidità impensabile fino a una manciata di anni fa. Ma la legge sul diritto d'autore risale al 1941, quando 16 ore erano un soffio e la pubblicazione appannaggio di pochi
di G. Scorza - Le notizie in rete fluiscono con una rapidità impensabile fino a una manciata di anni fa. Ma la legge sul diritto d'autore risale al 1941, quando 16 ore erano un soffio e la pubblicazione appannaggio di pochi

Dare notizie provenienti da un’agenzia di stampa a mezzo Twitter è vietato? Perché mai dovrebbe esserlo se chi lo fa paga l’agenzia di stampa o i suoi distributori per accedere ai dispacci di agenzia ed utilizzarli per fare informazione? O forse è vietato solo se lo si fa troppo velocemente e/o se si hanno troppi follower?

Sono queste ed altre le domande che solleva quello che in Rete è già stato battezzato come il ” Caso Goria “, dal nome del giornalista de Linkiesta che si è visto “diffidare” dalla celeberrima agenzia stampa Thomson Reuters dal re-twittare (in alcuni casi, in realtà, si è trattato di semplici cinguettii e non di ri-cinguettii) alcuni lanci dell’agenzia twittati da altri utenti o diffusi sui canali a pagamento dell’agenzia, cui è regolarmente abbonato.

Ci sono molti modi diversi per affrontare la questione.
Un primo possibile approccio è chiedersi cosa impensierisca Reuters così tanto da indurla a diffidare un giornalista, suo cliente, dall’utilizzare le notizie da essa provenienti per fare informazione e, dunque, in un modo o nell’altro, il suo lavoro, peraltro citando la fonte e, dunque, facendole pubblicità e comunque rispettando il suo diritto di citazione. Difficile darsi una risposta diversa dalla dilagante tecnofobia che, sfortunatamente, ancora miete vittime illustri proprio nel mondo dell’informazione e dell’editoria ovvero in quello che più dovrebbe esser capace di cogliere il senso e le opportunità del progresso tecnologico.

Goria, un singolo giornalista, per quanto veloce nel twittare alcune delle notizie di Reuters e per quanto seguito sulla piattaforma del passerotto blu, non è e non sarà mai un concorrente di una delle più grandi agenzie di stampa del mondo. Nessun follower di Goria rinuncerà mai, se interessato, ad abbonarsi ad un canale a pagamento di Reuters, nell’illusione – perché di questo si tratterebbe – di vedere le sue esigenze di sistematica, puntuale e tempestiva informazione soddisfatte dai cinguettii di un utente di Twitter per quanto bravo, capace e affermato professionista dell’informazione.

C’è poi un altro possibile approccio che, in queste ore, anima uno stimolante dibattito tra i giuristi addetti ai lavori in Rete: quello prettamente giuridico.
Che l’iniziativa di Reuters sia o meno sensata o opportuna, essa è fondata da un punto di vista giuridico? Reuters, oltre a fare la voce grossa con l’editore del giornalista e con il giornalista stesso via email, potrebbe trascinare Goria in tribunale e ottenere che un giudice gli inibisca di continuare a cinguettare e ri-cinguettare quello che scrive?

Sotto questo angolo di visuale, la risposta a queste domande è decisamente più complessa ed articolata soprattutto a causa di un innegabile e importante disallineamento tra il contesto mediatico ai tempi di internet e quello avuto presente dal legislatore che, pure, a suo tempo – correva l’Anno del Signore 1941 – si è fatto carico di occuparsi espressamente di tutelare il lavoro delle agenzie di stampa, nel contemperamento con le esigenze di circolazione delle informazioni. Il punto di partenza per sciogliere il nodo della questione è comunque il principio generale fissato dall’ art. 101 della Legge sul diritto d’autore: ” La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte “. La stessa norma – che, giova ricordarlo, è inserita in un capo della legge sul diritto d’autore che parla del divieto di atti di concorrenza sleale – prevede alcune limitate ipotesi nelle quali la riproduzione delle informazioni è illecita. Tra queste, la pietra dello scandalo, ovvero la previsione secondo la quale sarebbe illecita ” la riproduzione o la radiodiffusione, senza autorizzazione, dei bollettini di informazioni distribuiti dalle agenzie giornalistiche o di informazioni, prima che siano trascorse sedici ore dalla diramazione del bollettino stesso e, comunque, prima della loro pubblicazione in un giornale o altro periodico che ne abbia ricevuto la facoltà da parte dell’agenzia “.

Prima che siano sedici ore dal lancio di agenzia , dunque, sarebbe vietato re-twittare o twittare? Una risposta affermativa a tale domanda, come pure proposto da alcuni commentatori, sarebbe affrettata ed incompleta. Innanzitutto la norma – ivi incluso il termine delle 16 ore (intervallo di tempo, probabilmente, breve nel 1941 ma siderale nel 2012, in piena società dell’informazione – va interpretata tenendone presente la finalità: impedire atti di concorrenza sleale. Se nel 1941, perché la ripubblicazione di un lancio di agenzia non desse luogo ad effetti anticoncorrenziali, era necessario un intervallo di tempo tanto lungo, nel 2012 questo non appare sostenibile. Oggi un lancio di agenzia diventa vecchio e superato un pugno di secondi dopo la sua prima diffusione e, quindi, il suo utilizzo viene ad essere privato di qualsiasi risvolto anticoncorrenziale.

Ma c’è di più. La stessa norma priva di significato il termine delle 16 ore, laddove la notizia sia stata pubblicata “in un giornale o altro periodico che ne abbia ricevuto la facoltà da parte dell’agenzia”. Se la notizia è stata legittimamente pubblicata da chicchessia (il riferimento ai soli giornali e periodici appare anacronistico), dunque chiunque può ripubblicarla perché, evidentemente, la stessa ha perso di valore dal punto di vista dell’interesse dell’agenzia di stampa e nessuno potrebbe più utilizzarla per farle concorrenza. I cinguettii che tanto hanno offeso Reuters si riferivano a notizie non ancora pubblicate da nessuna parte al mondo?

Un’ultima necessaria considerazione. Il diritto d’autore non copre le notizie ma la forma nella quale le notizie sono date con la conseguenza che mentre Reuters può, in astratto, e con le riserve che precedono, lamentare la pubblicazione da parte di qualcuno di un lancio frutto di un mero cut&paste , non può, in nessun caso – con il limite, ovvio, di eventuali atti di concorrenza parassitaria come l’integrale e sistematica ripubblicazione di interi canali di agenzia – lamentare la circostanza che un giornalista dia una notizia scrivendola di suo pugno via Twitter, Facebook o qualsivoglia altro mezzo.

Non può esserci diritto d’autore sulle idee, le notizie e la storia: non c’è mai stato ed è ancor più assurdo pensare che possa esservi o che sia auspicabile vi sia nella società dell’informazione e nell’era digitale.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
23 feb 2012
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