Salute a rischio per troppa Internet

Salute a rischio per troppa Internet

di T. Lombardi - La polizia iraniana lancia un appello: attenzione, i ragazzi su Internet sono a rischio di comportamenti antisociali e perdita della fede religiosa. Un'occasione per fare il punto sul nuovo medium-grimaldello
di T. Lombardi - La polizia iraniana lancia un appello: attenzione, i ragazzi su Internet sono a rischio di comportamenti antisociali e perdita della fede religiosa. Un'occasione per fare il punto sul nuovo medium-grimaldello


Roma – Le autorità della Repubblica Islamica dell’Iran affrontano i presunti rischi sociali conseguenti all’esplosione della connettività Internet (le stime parlano di un incremento del 200% rispetto a 4 anni fa). E lo fanno attraverso un messaggio pubblico, senza lesinare immagini evocative , mettendo in guardia i numerosi giovani (più di due terzi della popolazione totale ha meno di 30 anni) che potrebbero essere su Internet nei prossimi anni.

Nel comunicato, diffuso lo scorso lunedì, la rete viene dipinta come una “nave che attraversa i più bei lidi del mondo”.

Lidi senza dubbio attraenti, sopratutto per coloro che vivono nei paesi con rigidi controlli sull’informazione e sulla libera circolazione di idee. Così attraenti che, secondo la polizia iraniana, i giovani intenti a rimirarli dallo schermo d’un computer on line potrebbero affogare nell’oblio: depressione, depravazione, immoralità ed ogni altro tipo di nefandezza e psicosi.

Il messaggio è chiaro e vaticinante: là fuori, nell'”oceano internet”, ci sono squali che si aggirano sotto la forma di immagini pornografiche e contenuti anti-islamici. Squali affamati di giovani, pronti a trascinarli in un vortice di pericolosa “dipendenza da Internet”. I rimedi suggeriti dagli esperti iraniani sono tre: rifuggire la “dipendenza da Internet”, non visitare siti immorali e non sostituire gli amici reali con gli “avatar” digitali.

Nel mondo si afferma sempre più una rigida suddivisione dualistica del fenomeno Internet: chi vuole una rete completamente libera (inseguendo spesso sogni comunicativi di condivisione totale dei saperi e delle informazioni) e chi pensa che si tratti, su svariati livelli, della “Grande Bestia” postmoderna. Si prepara così il terreno per la creazione di una vera etichetta d’esclusione sociale. Una terribile etichetta per il futuro di numerosi individui di tutto il mondo: essere dei “malati di Internet” , il cui comportamento è riconducibile alle patologie mentali ipotizzate già dal 1996 , talvolta riconosciute dal mondo accademico oppure semplice frutto di agende politiche mirate alla restrizione delle libertà personali.

Un male antico: la sete di sapere
Italia: 1600. Il filosofo Giordano Bruno viene arso vivo per volontà del Papa. Il crimine commesso? Eresia. Si era discostato dalla concezione comune di cultura, morale ed individualità. Era un “malato”, un “folle”.

Bruno, di formazione cattolico-monastica (aveva studiato in un monastero Domenicano), ebbe accesso alle scritture testamentali ed alla letteratura scolastica, nonchè all’enorme mole di documenti accumulata dal Vaticano. Ebbe l’ardire di documentarsi troppo sulla realtà in cui viveva. La verità lo ossessionava e la sua ricerca gli costò la morte. Probabilmente, come moltissimi altri studiosi, passava molte delle sue giornate tra libri e scrittoi: un comportamento che a molti (adesso come allora) può apparire come un allontanamento sistematico da ogni tipo di vita sociale e mondana, se non altro per il prezioso tempo che sottrae.

Una forma di “pericolosa antisocialità” che l’ha portato, costandogli la vita stessa, a razionalizzare idee avveniristiche, contribuendo in maniera determinante alla moderna filosofia epistemologica.

Individui come Giordano Bruno, in tempi in cui molta informazione e cultura sono facilmente reperibili tramite il proprio computer, verrebbero inclusi nelle casistiche (accademiche e governative) stilate di volta in volta per dipingere una vera e propria sindrome da Internet ?

L’esempio di Bruno serve per sottolineare quanto la libertà d’informazione e la sua repressione siano determinanti sia per il progresso, sia per ogni tipo di istituzione che voglia rimanere saldamente ancorata a granitici pilastri ideologici, dall’anima talvolta dogmatica.

Internet è il mezzo per accedere ad innumerevoli rappresentazioni del mondo, attraverso nuove forme di socializzazione che possono essere spersonalizzanti (certi fenomeni in chat) e al contempo appassionanti (un libro praticamente infinito di cui siamo noi a scegliere i contenuti). Ma, di questo, oggi, cosa non è spersonalizzante? Cosa non è appassionante?

E’ dunque “malato” chi usa un qualsiasi medium per attingere informazioni ? I cosiddetti “topi di biblioteca”, spesso le menti più influenti della storia, sono tutti dei folli emarginati privi di morale ed intrisi di perversione? E’ una malattia dedicarsi alle proprie passioni, per quanto immateriali possano essere?


Vi sono paesi nei quali chi utilizza “eccessivamente” la Rete, dai liberi pensatori ai semplici appassionati di videogiochi on-line, rischia di venire identificato come un malato . Questo perchè Internet è, tra le molte cose, anche un nuovo ennesimo bersaglio di meccanismi di censura e di controllo della popolazione, tristemente ridondanti nel corso della storia umana.

Un esempio? Immaginiamoci cittadini cinesi per un attimo. Oppure vietnamiti
Usiamo internet per aprire un forum di discussione dove dibattere delle forme di governo possibili, magari con persone distanti migliaia di chilometri che, attraverso le chat e le e-mail, contribuiscono ulteriormente ad allargare le nostre vedute in materia.

Queste “rappresentazioni digitali di individui” sono i medium che permettono a certi pensieri di fluire fino a noi, pronti per essere giudicati ed eventualmente resi propri. Un processo tanto più utile alla nostra coscienza critica quanto più numerose sono le fonti da cui attingiamo tali rappresentazioni. Spesso si tratta di idee proibite, che attraverso i media tradizionali sarebbero state facilmente occultate ed estromesse.

Per una semplice azione di questo genere, in quanto cinesi, rischieremmo l’incarcerazione ed il terribile marchio sociale di “psicopatici”: questo perchè vi sarebbe immediatamente una correlazione tra comportamento manifesto (violare rigide norme scritte e non sul pensiero a “libertà limitata”) ed una patologia cognitivo-comportamentale (essere dei malati, praticamente, d’informazione).

Oppure materializziamoci, col pensiero, in Iran: giusto per rimanere nell’attualità. Navigando su Internet ci sembra che esistano altri modi di vivere la vita di tutti i giorni. Niente di meglio (nonchè assai poco costoso) che creare un blog e dire a tutti quanti come la pensiamo! Nel giro di pochi giorni, ammesso che i metodi di controllo siano così efficienti, il nostro blog potrebbe venire censurato magari perché “amorale e perverso” . Tutto questo solo perchè c’erano due o tre link alle più famose star hollywoodiane in abiti succinti, oppure perchè si parlava dei brogli elettorali iraniani…

Internet, in molti paesi con rigidi controlli governativi tesi all’indottrinamento morale e sociale dei cittadini, rappresenta il ponte verso un futuro di maggiori libertà. I prezzi dell’hardware diminuiscono sempre più e fanno presagire l’arrivo su Internet di milioni di individui appartenenti ai paesi storicamente più poveri, come molte nazioni africane ed asiatiche.

Paesi in cui un allargamento diffuso delle coscienze critiche individuali porterebbe numerosi sconvolgimenti politici, economici e sociali. Rivoluzioni vere e proprie.

Internet: buona o cattiva maestra?
Internet è una fonte di rappresentazioni sociali che permettono di accrescere il nostro bagaglio culturale e di aggiustare il nostro occhio critico sul mondo che ci circonda. Chi controlla una fonte di questo tipo, controlla la stessa visione di realtà che gli individui in questione possono avere. Proprio per questo, gli episodi di rigido controllo dell’informazione che caratterizzano le nazioni alle quali abbiamo fatto riferimento, accompagnano terrificanti tentativi di patologizzazione della stessa attività comunicativa.

In questo modo si evince la volontà, piuttosto palese, di fornire maggiore profondità (in questo caso psicologico-biologica, parlando di vere e proprie sindromi da Internet ) alle tesi di chi non vuole un uso di Internet libero e costruttivo, con striscianti riferimenti ad episodi “dissidenza” avvenuti on-line .

Un uso assiduo di Internet può sì potenzialmente farci approdare a contenuti non piacevoli o moralmente riprovevoli, comunque facilmente evitabili (secondo la disposizione personale) grazie agli stessi meccanismi di fruizione della Rete.

Anche i media tradizionali presentano il rischio di fornire informazioni potenzialmente pericolose, che possono “traviare” o “destabilizzare” la mente degli individui. Persino il migliore libro di storia, argomento studiato in tutto il mondo ed in tutte le culture, non è sicuramente esente da contenuti inadeguati: le migliaia di battaglie che caratterizzano il vissuto collettivo dell’umanità spesso diventano dei moniti per le generazioni future per non commettere mai più gli stessi errori. “Historia magistra vitae”, diceva Machiavelli: Internet può essere una “buona maestra” laddove la televisione, con la sua struttura verticalizzata e limitativa, era ad esempio una “cattiva maestra” (come il filosofo Karl Popper sosteneva). Una rete fatta di contenuti multimediali che riflettono il mondo multicolore in cui viviamo non può e non deve essere la causa di malattie. Perchè punire, criminalizzare o comunque rendere “patologico” ogni uso estensivo di questa magnifica invenzione?

Un uso assiduo che spesso si coniuga con maggiori competenze tecniche-informatiche dei singoli fruitori, in grado di decidere cosa, come e dove sapere ciò che si cerca. Alla stessa maniera in cui il solito “topo di biblioteca” riesce ad ottenere esattamente ciò che vuole scavando tra gli scaffali delle librerie.

Non dimentichiamo che il processo di laicizzazione della società Italiana, sancito simbolicamente dal Concilio Vaticano II, è passato anche dal grande schermo (i film americani) e dalla radio (ad esempio col boogie-woogie). Si trattava di fenomeni sociali che, tramite i media, sono riusciti ad addolcire l’opinione pubblica ed allargare le vedute di molte persone.

Internet, grazie alla multimedialità offerta, è potenzialmente un cavallo di Troia per far crollare sia i monopoli informativi sia le costrizioni teocratiche ed ideologiche che limitano la libertà personale. Limitazioni che spesso, come la storia insegna, sono assai più mortali di qualsiasi malattia mentale.


Ma non solo i paesi con regimi politici ben precisi hanno in mente di creare una nuova “classe” di cittadini malati. Anche nella “libera America” e nella “vecchia Europa” qualcosa si è mosso, negli ultimi anni, per individuare comportamenti on-line atipici e classificarli come malattie .

La libertà d’espressione non è -tuttora- presentata come una malattia e viene promosso un approccio critico e moderato verso le potenzialità informative della Rete. Vengono divulgate linee guida per i genitori, sopratutto per tutelare i più piccoli dalle insidie delle reti telematiche. Insidie che, è giusto ricordare, sono assai più numerose nella vita di strada che in quella on-line: il fenomeno “pedofilia” ne è un esempio perfetto.

Il DSM-IV, documento redatto dalla American Psychiatric Association e standard internazionale per l’individuazione delle patologie psicologiche, non raccoglie alcun riferimento ufficiale al disordine mentale chiamato “Internet dipendenza” . Là dove profitto e ricerca scientifica si intrecciano in un flusso continuo di nuove malattie mentali e costosissime cure, molto è stato fatto: sopratutto dalla psicologa Kimberly Young, che lavora all’Università di Pittsburgh.

E’ l’autrice di numerosi studi casistici sui cosiddetti netaholic , dipendenti da Internet. Le statistiche li vogliono soli, con problemi coniugali, ossessivo-compulsivi e sopratutto perennemente connessi: tra chat, newsgroup e videogiochi multiutente. L’utente Internet-dipendente è perciò scarsamente socializzato, incapace di rapporti umani seri e duraturi ed ossessionato dal desiderio di passare ore ed ore di fronte ad uno schermo. Presenta addirittura un’inclinazione verso le attività lavorative basate sulla telecomunicazione. Fa sorridere che, dal 1996, la Prof.ssa Young promuove terapie di supporto psicologico via web. Rischia anche lei di essere considerata una Internet dipendente?

Quindi tutto si muove verso l’informatizzazione, almeno in Occidente. Questo movimento sembra inarrestabile: dalle nuove dinamiche aziendali alle funzioni di cittadinanza, tutto sarà on-line. Perchè opporsi? Tuttavia il neoluddismo prolifera . Una costante della società dell’informazione è l’aumento progressivo del tempo impiegato per utilizzare i mezzi di comunicazione. Media che vengono utilizzati, come al solito, per orientarsi, aggiornarsi e divertirsi . Tutto questo per sconfiggere l’anomia. Con Internet si riesce ad ottenere tutti questi tre elementi in maniera discreta, personalizzabile e sopratutto priva -teoricamente- di limitazioni. Possiamo trovare una maggiore consapevolezza di noi stessi, specchiandoci in quella superficie onniriflettente fatta di innumerevoli storie ed esperienze umane che si chiama Rete.

Conclusioni
Un medium informativo può divenire un comodo capro espiatorio per ogni tipo di avvenimento non gradito a determinati gruppi di potere? Sì. Persino eccessivamente.

Sono mai state propagandate turbe psichiche collegate all’eccessiva consultazione dei media? Sì, purtroppo. Così come troppe persone, uomini e donne, sono state uccise in nome di istituzioni bigotte e disumane.

L’importante, ovviamente, è essere in grado di regolarizzare ed armonizzare interiormente passioni, sete di cultura e funzioni sociali di base: questo vale sia per Internet che per qualsiasi altro elemento che costituisce il presente. Perchè qualsiasi aspetto della vita quotidiana può tecnicamente diventare “malattia mentale”, laddove portato a livelli d’esasperazione.

Sappiamo per certo che, mai come in questo preciso momento storico, una delle caratteristiche salienti dell'”essere occidentali” è la totale immersione individuale in un mare di informazioni. Il mondo che ci gira attorno comunica con noi attraverso i media proprio là dove i nostri sensi non riescono ad arrivare, intralciati ed impacciati da distanze sempre più dilatate, dalla fluidificazione iperaccelerata delle pratiche sociali.

Il bisogno di regolamentare l’uso di Internet , creando persino spauracchi artificiali di nuove condizioni psichiatriche, riflette un preciso timore diffuso nei riguardi del futuro. Con una rete globale liberamente accessibile da qualsiasi parte del pianeta, costruita dagli stessi utenti, la stessa concezione di “identità e cultura nazionale” potrebbe pericolosamente liquefarsi, portando instabilità sociale laddove, ad esempio, l’identità nazionale assurge a pilastro istituzionale.

Anche per questo in Occidente, al pari di numerose altre zone geopolitiche, stanno verificandosi numerosi ed inquietanti casi di neoluddismo: fenomeni di “antidigitalità” che nascondono un terrore diffuso a tutti i livelli: paura di cambiare, paura di evolversi. Gutenberg, con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, non ha certo contribuito a creare un mondo di “malati” che passano, misantropicamente, il 100% del proprio tempo in biblioteca.

Allo stesso modo Internet non sostituirà mai la “vita reale”, come molti neoluddisti lamentano, ma già costituisce la massima occasione di crescita collettiva che l’umanità abbia mai avuto. Un mezzo infinitamente potente che va utilizzato nel migliore dei modi: per crescere. Una “barca”, da usare a propria discrezione, che travalica i limitanti palinsesti televisivi, le agende politiche dei maggiori quotidiani cartacei e può teoricamente insinuarsi dentro ogni gabbia che controlla la conoscenza.
Non è un caso se siano così numerosi coloro che la temono.

Tommaso Lombardi

dello stesso autore:
Razzismo sul web, tolleranza zero
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Verso il proibizionismo 2.0

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Pubblicato il
30 apr 2004
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