SCO: senza paura e senza ricerca

SCO: senza paura e senza ricerca

di Eben Moglen (tradotto da Emmanuele Somma) - Il punto della situazione sulle rivendicazioni di SCO su Linux, sulle prove che dovrebbero sostenerle e sulla legge americana, che ne impone la presentazione
di Eben Moglen (tradotto da Emmanuele Somma) - Il punto della situazione sulle rivendicazioni di SCO su Linux, sulle prove che dovrebbero sostenerle e sulla legge americana, che ne impone la presentazione


Roma – (note in calce) – C’è una definizione tradizionale di azzeccagarbugli: è un avvocato che, quando la legge è contro di lui, se la prende con le prove, e quando le prove sono contro di lui, se la prende con la legge, e quando sia le prove che la legge sono contro di lui, prende a pugni il tavolo . I continui tentativi di SCO Group di accrescere il proprio valore di mercato a spese degli sviluppatori del software libero, dei propri distributori e degli utenti attraverso esotiche teorie legali e presunzioni di prove senza sostanza, mostra che questo vecchio modo di dire ha ancora qualche valore.

Solo le prove
SCO continua a proclamare in pubblico che nella causa contro IBM potrà dimostrare che il kernel Linux del sistema operativo libero viola il copyright SCO sul codice sorgente di Unix SysV. Ma nell’unica occasione in cui SCO ha pubblicamente mostrato qualche esempio di codice di Linux che millantava fosse copiato da Unix SysV, la sua dimostrazione le si è ritorta contro, mostrando piuttosto la vera faccia della propria noncuranza verso le leggi sul copyright, ma ancor di più la propria sciatteria nella ricerca delle prove.

Il 18 Agosto 2003 in un evento pubblico a Las Vegas, il CEO di SCO, Darl McBride, ha offerto una presentazione con alcuni esempi che secondo lui dimostravano la violazione dei diritti della propria azienda dovuti alla copia letterale di codice sorgente preso da Unix Sys V e inserito in Linux. Dopo solo poche ore la comunità del software libero e dell’open source aveva già analizzato quella che avrebbe dovuto essere la prova principe di SCO: quanto risultò non fu certo incoraggiante per gli investitori e per tutti gli altri che speravano che SCO sapesse almeno quello di cui parlava (1).

A Las Vegas McBride ha offerto due esempi che sosteneva fossero copiati da Sys V. Il primo implementa il firewall “Berkley Packet Filter” (BPF). Effettivamente anche il kernel di Linux contiene una implementazione del BPF, ma è un lavoro originale realizzato dallo sviluppatore Linux Jay Schulist. SCO non può pretendere nessuna proprietà nella implementazione iniziale del BPF che, come dice il nome era in origine una parte dello Unix BSD di Berkley, e che è stata copiata, in modo perfettamente legale, all’interno di Unix Sys V di SCO.
Poichè le implementazioni BPF in SysV e Linux hanno un antenato intellettuale in comune ed eseguono la stessa funzione, il programma di ricerca delle somiglianze utilizzato da SCO sulle due basi di codice sorgente ha restituito questo apparente esempio di copia. Ma SCO non ha fatto sostanziali ricerche per verificare che il lavoro di cui stavano recriminando la violazione non fosse il proprio (probabilmente poichè a suo tempo “per disattenzione” era stata rimossa l’originale nota di copyright).

Solo appena meno dubbio era il secondo esempio di McBride. McBride ha mostrato qualche decina di linee di codice prese dalla allocazione di memoria di “Linux” erano identiche al codice di Unix Sys V. Di nuovo, comunque, è successo che SCO si è basata sulla ricerca di somiglianze nel codice sorgente senza accertarsi della vera storia e dello stato del copyright del lavoro di cui reclamavano la proprietà e la violazione. Il sorgente C mostrato nella presentazione era stato per la prima volta incorporato in Unix Version 3 e fu scritto nel 1973, però discende da una precedente versione pubblicata da Donald Knuth nel suo classico “The Art of Computer Programming” nel 1968.

Inoltre AT&T aveva già reclamato la proprietà di questo codice, insieme ad altre porzioni del suo OS Unix, nella famosa causa BSD contro l’Università della California, e gli fu allora negata una ingiunzione preliminare sulla base del fatto che non avrebbe mai potuto verosimilmente sostenere tale violazione, poiché essa stessa aveva già in precedenza reso pubblico questo codice senza apporvi una nota di copyright e quindi, per la legge sul copyright pre-1976 negli Stati Uniti, era come se avesse rilasciato il codice nel pubblico dominio.

Nel 2002, il predecessore di SCO, Caldera, ha rilasciato di nuovo tale codice ma questa volta imponendovi una licenza che ne permetteva la libera copia e la redistribuzione. A quel punto la Silicon Graphics Inc. (SGI) ha usato il codice in una variante del programma Linux realizzata per una serie di computer basati su architettura a 64 bit chiamata “Trillium” che la SGI avrebbe dovuto vendere ma non che alla fine non ha mai distribuito. Nell’incorporare il codice, SGI ha violato i termini della licenza di Caldera solo per aver inopportunamente rimosso la nota di copyright della Caldera, ma tale nota era comunque errata.

Quindi il secondo esempio, quello che SCO supponeva fosse una copia senza permesso, innanzitutto era già nel pubblico dominio, e successivamente la stessa SCO l’aveva persino rilasciato sotto una licenza di software libero dopo avervi erroneamente imposto sopra un proprio copyright. SGI ha solo complicato le cose rimuovendo impropriamente l’errata nota di copyright.

Ma chiediamoci quanti sono i PC e o i server basati su architettura Intel nel mondo contengono questo codice problematico? Zero. Nessuna versione del programma Linux per le architetture Intel lo ha mai contenuto. E neppure alcun hardware SGI per cui questo codice fu scritto è mai stato venduto. HP, che vende i server a 64-bit Itanium, ha rimosso il codice dal ramo IA-64 dell’albero di codice di Linux, perché era tecnicamente ridondante.

Purtroppo la ricerca di SCO non è andata oltre la scoperta di una supposta istanza della “copia” senza chiedersi se SCO avesse alcun diritto su quello che era stato copiato e certamente senza fornire al proprio pubblico nessuna indicazione che il “Linux” di cui stava parlando era una variante per computer rari da cui il codice che sosteneva violare i diritti di SCO era in realtà già stato rimosso da HP.

Ciò che gli esempi di Las Vegas hanno veramente dimostrato è che mantenendo segrete in modo artefatto queste supposte violazioni, SCO le ha irresponsabilmente gonfiate.

Cosí, pur essendosi scelta le prove da mostrare in pubblico, le prove stesse le si sono ritorte contro, non ci è sembrato quindi strano che SCO ad Agosto se la sia presa con la legge. Ma neppure la legge sta dalla loro parte.


Truccare la legge
La situazione legale di SCO contiene un’intrinseca contraddizione.

Nelle lettere che ha spedito ai grandi utenti aziendali di software libero e nelle posizioni pubbliche in cui pretende dagli utenti delle versioni recenti del kernel comprino licenze, SCO avanza la pretesa che il programma Linux contenga materiale di cui detiene il copyright. Ma ha anche avanzato richieste di violazione di segreti commerciali contro la IBM , sostenendo che IBM ha contribuito al kernel Linux con materiale coperto da licenze di non divulgazione o altri contratti. SCO ha però anche distribuito Linux sotto GPL e lo continua a fare. Ha quindi essa stessa pubblicato i propri supposti segreti commerciali e il proprio materiale sotto copyright, sotto una licenza che dà ad ognuno il permesso di copiare, modificare e ridistribuire.

Se la GPL significa ciò che dice, SCO perderà la causa che riguarda i propri segreti industriali contro IBM e non potrà far alcun danno o creare problemi agli utenti del kernel Unix.

Ma se la GPL non fosse un permesso di copyright efficace e valido, che cosa avrebbe potuto dare a SCO il diritto di distribuire tutto il lavoro protetto dal copyright che hanno realizzato i contributori di Linux, e anche tutti gli autori di ogni altro software sotto copyright che attualmente SCO pretende di distribuire per merito della GPL?

La controquerela che IBM ha mosso contro SCO solleva proprio questo problema rispetto ai contributi di IBM al kernel Linux. Secondo la sezione 6 della GPL, nessun ridistributore della GPL può aggiungere alcuna clausola alla licenza; SCO ha invece richiesto che chi usa il kernel Linux debba comprare una nuova licenza addizionale da SCO, e conformarsi ad obblighi addizionali.

Ma nella GPL alla sezione 4 si dice esplicitamente che chi viola la licenza perde automaticamente il diritto di distribuire il lavoro di cui sta violando le regole. A ragione IBM quindi sostiene che SCO non ha alcun permesso di distribuire il kernel e poichè lo sta ancora facendo non solo sta violando i copyright di IBM ma anche quelli di tutti i contributori del kernel. Quindi a meno che SCO non riesca a provare che la GPL è una forma valida di permesso e che lei non ha mai violato questi termini del permesso, perderà sulle controrichieste e sarà querelabile per danni non solo da IBM ma anche da tutti i contributori al kernel.

Le controquerela di IBM ha messo SCO all’angolo per quanto riguarda la GPL. Non solo le prove ma anche la legge è adesso fondamentalmente contro la posizione sempre più disperata di SCO.

SCO e il suo predecessore, Caldera, hanno beneficiato enormemente della protezione della GPL. Ad esempio è solo grazie alla GPL che SCO è stata in grado di usare il lavoro prezioso dei progettisti dei compilatori e degli implementatori di tutto il mondo che hanno reso il compilatore GCC della Free Software Foundation il principale compilatore cross-platform. Le applicazioni di clienti SCO girano su Unix Sys V solo per merito del GCC, a cui la SCO stessa ha contribuito con modifiche specifiche al proprio sistema. Modifiche di cui ha assegnato il copyright alla Free Software Foundation. Caldera e SCO non avrebbero mai potuto mettere in vendita un prodotto come sistema operativo usabile senza il contributo della comunità del software libero. SCO fu felice di ricevere questi benefici ma oggi ha immoralmente richiesto di venir meno ai propri obblighi. La legge non permette a SCO di avere la botte piena e la moglie ubriaca.

E cosí adesso è arrivato il momento per SCO e i suoi legali di prendersela con il tavolo. La risposta di SCO alla controquerela di IBM si è sostanziata in una quantità di assurdi attacchi alla GPL, ai suoi utenti, ai suoi autori, alla Free Software Foundation. La GPL, sostiene la risposta di SCO alla querela di IBM, viola non solo lo statuto federale ma anche la costituzione degli Stati Uniti. La SCO ovviamente non si degna di farci capire come sia possibile che, solo dando ad altri il permesso di copiare, modificare e redistribuire il proprio lavoro, un titolare di un copyright privato possa violare la costituzione degli Stati Uniti.

Le teorie legali non sono segrete; se i legali di SCO hanno qualcosa da offrire in supporto a questo nuova affermazione dovrebbero farcela conoscere. Non è mai esistito caso, nella pur lunga storia del copyright degli Stati Uniti, in cui si ritrova questa ridicola concezione di una licenza di copyright incostituzionale. Nessun avvocato nella mia ragionevolmente ampia conoscenza prende per seria questa idea balzana, quale che sia la sua visione della GPL.

Dopo aver fallito con le prove, e fallito con la legge, dopo aver sollevato nient’altro che una risata di derisione da parte del tavolo preso a pugni, anche il proverbiale azzeccagarbugli non sa più a che santo votarsi.

Che cosa vedremo prossimamente dalla SCO? Un attacco all’arbitro? (*)

Copyright © Eben Moglen, 2003. La copia letterale di questo articolo è permessa con ogni mezzo, purchè questa nota sia mantenuta. L’originale è disponibile qui

Per la traduzione: © Emmanuele Somma, 2003. La copia letterale della presente traduzione è permesse in ogni mezzo, purchè questa nota sia mantenuta. La versione aggiornata è disponibile presso www.exedre.org/sconfnr

Eben Moglen è professore di diritto alla Columbia University Law School, e lavora, senza compenso, come Consigliere Generale della Free Software Foundation.

Note:
(1) La più completa pubblicazione sulla presentazione SCO tenuta a Las Vegas è stata scritta da Bruce Perens è disponibile su http://www.perens.com/SCO/SCOSlideShow.html .

(*) Nota del Traduttore: Intraducibile gioco di parole cinematografico tra “An attack on the empire” (un attacco all’Impero) che rimanda alla vasta tradizione SCI-FI/Star_Wars viva nell’etica hacker, e il riportato “An attack on the umpire”, che significa letteralmente un attacco all’arbitro o giudice.

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Pubblicato il 10 dic 2003
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