Se la parola chiave inchioda

Se la parola chiave inchioda

Offriva ai netizen una raccolta di schede e trame di film, arricchite da un link all'acquisto legale e dalle parole chiave per rintracciare le opere sul P2P. Un tribunale francese lo condanna al carcere e a risarcire gli studios
Offriva ai netizen una raccolta di schede e trame di film, arricchite da un link all'acquisto legale e dalle parole chiave per rintracciare le opere sul P2P. Un tribunale francese lo condanna al carcere e a risarcire gli studios

Gestiva due siti in cui pubblicava recensioni di film, di opere che gli utenti avrebbero potuto acquistare sul mercato o racimolare online, attingendo ai circuiti del file sharing. Snocciolava parole chiave per agevolare le ricerche mediate dai client P2P. Un tribunale francese gli ha chiesto di risarcire con 130mila euro i detentori dei diritti, e lo ha condannato a una pena pari a un anno di carcere.

Era il 2006 quando Sébastien Budin, giovane di Lione, ha avviato la propria attività online: per rendere un servizio ai cittadini della rete ha riversato sul proprio sito, Station-Divx.com , recensioni, trame e schede di film. Fra i dettagli con cui Budin presentava le opere, oltre ad un link all’acquisto legale online, anche delle chiavi di ricerca : sarebbero servite ai cittadini della rete per attingere al P2P senza incappare in fake o in prodotti di bassa qualità.

Budin non si era limitato a mettere in campo e gestire Station-Divx.com : aveva pensato anche ad un analogo servizio per la cinematografia porno, emulemovies.net . Le sue schede, ha spiegato, anche in questo caso contenevano dei dettagli “per raffinare le ricerche su eMule”: titoli e lingua, formati e autore del rip, dati che avrebbero consentito al downloader di individuare il file di cui era davvero alla ricerca. Emulemovies.net aveva fruttato al giovane una partnership con un distributore di titoli per adulti, volta alla vendita legale di film.

Ma il 19 giugno 2007 la polizia si è presentata a casa di Budin, ha frugato nel suo computer e nei suoi hard disk. Il 18 settembre 2008, la prima audizione in tribunale: l’accusa è quella di violazione del diritto d’autore per aver riprodotto, eseguito e distribuito 654 film e 26 serie televisive, di aver messo in circolazione delle opere prima che venissero immesse sui canali ufficiali. L’accusa chiede quasi 22mila euro di risarcimenti, Budin e il suo avvocato combattono: il giovane non nega di aver attinto al P2P e di aver scaricato e archiviato per scopi personali le opere citate dall’accusa. Assicura però di non aver tratto guadagno da alcuna attività illecita: non ha distribuito o riprodotto a scopo di lucro.

Nei giorni scorsi, la riformulazione delle accuse: Budin sarebbe responsabile di favoreggiamento alla violazione del diritto d’autore. La motivazione? Con la “creazione del sito internet Station-Divx.com – questo il parere dell’accusa – in cui metteva a disposizione degli utenti 1096 link raggruppati per tema e in ordine alfabetico permetteva e semplificava lo scaricamento diretto di questi film e di questi file attraverso dei client software di tipo peer to peer (emule o simili)”. Nel mirino dell’industria dei contenuti ci sono le parole chiave suggerite da Budin per semplificare le ricerche, considerate un esplicito invito al download a mezzo P2P di opere protette dal diritto d’autore.

Il tribunal de grande instance di Lione ha dato ragione ai detentori dei diritti, ha condannato Budin a un anno di carcere e a un risarcimento pari a 130mila euro , con cui compensare l’industria delle perdite che avrebbe subito con la mediazione delle chiavi di ricerca fornite ai netizen dal giovane.

Ma Budin non ha ceduto: ricorrerà in appello. Sul sito con cui si rivolge ai cittadini della rete, nella propria autobiografia, si difende spiegando che i suggerimenti che forniva ai netizen sono gli stessi suggerimenti offerti da ordinari motori di ricerca come Google. “Le parole chiave – spiega Budin – sono state trovate sia sui servizi dedicati al P2P e ai torrent, sia attraverso Google”. Sono accessibili a chiunque, e chiunque le rintracci non può essere per questo motivo accusato di violazione del diritto d’autore. Budin invita a considerare la posizione dei motori di ricerca: “Google offre un link diretto ai siti che offrono questi contenuti protetti dal diritto d’autore”. Link a servizi di hosting su cui gli utenti caricano del materiale senza il consenso dei detentori dei diritti. “Perché – provoca Budin – Google e queste piattaforme non vengono processati per complicità nella violazione del diritto d’autore?”

Gaia Bottà

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Pubblicato il
30 mar 2009
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