Social network al servizio della legge

Social network al servizio della legge

Sono in aumento i casi in cui la polizia invita i netizen e le social network a collaborare alle indagini: da MySpace a YouTube si moltiplicano i profili e i video che ritraggono sospetti criminali
Sono in aumento i casi in cui la polizia invita i netizen e le social network a collaborare alle indagini: da MySpace a YouTube si moltiplicano i profili e i video che ritraggono sospetti criminali

Il suo nickname è BankRobber2007 : sulla sua pagina di MySpace scorrono delle immagini catturate da telecamere a circuito chiuso che mostrano all’opera un rapinatore sessantenne. Cappellino calato sul viso e occhiali scuri, svolge professionalmente il suo lavoro. “Non mi hanno mai preso”, recita un messaggio di presentazione, completo di descrizione fisica e modus operandi . Sullo sfondo, il leitmotif di un film della serie Police Academy , Scuola di Polizia. È il profilo di un rapinatore ma, a metterlo su MySpace, ci ha pensato la polizia.

L’iniziativa è di un sergente dell’Arkansas, Copeland, come riporta fra gli altri The Sydney Morning Herald . A suo dire, MySpace può offrire visibilità in un’ampia comunità, che può così contribuire ad acchiappare il ricercato di turno. BankRobber può già vantare un migliaio di “amici” collegati al suo profilo su MySpace, pronti a segnalare il suo eventuale avvistamento al numero del posto di polizia indicato sul profilo.

Ma non è il primo caso in cui si è pensato di sfruttare il passaparola su vasta scala ottenuto diramando messaggi attraverso le social network. Sempre su MySpace, lo scorso anno, riportava ad esempio NBC5 , la famiglia di un medico assassinato aveva creato un profilo per diffondere gli indizi raccolti da telecamere di sorveglianza. Si sperava di identificare il sospetto di omicidio, che, imbrattato di sangue, lasciava il luogo del delitto. “L’idea è di creare la chiacchiera e di rendere noto il video, in modo che possa raggiungere qualcuno che conosce, a sua volta, un testimone, una persona che possa collaborare alle indagini”, aveva spiegato il genero della vittima.

La scorsa settimana, inoltre, International Herald Tribune raccontava di un’iniziativa della polizia di Franklin, nel Massachussets, che aveva postato dei video su YouTube. I clip, che mostrano due ricercati fare acquisti con delle carte di credito rubate, non sono serviti a catturare i truffatori: sono bastate le indagini tradizionali. I video, però, hanno ottenuto un grande risalto, sono dilagati in Rete grazie alla segnalazione lanciata dalla polizia. Perché la strategia possa funzionare è infatti necessario creare un epicentro del passaparola con una comunicazione diretta, a persone reali. Un semplice comunicato stampa e la visibilità concessa dai media tradizionali possono risultare poco efficaci per conquistare l’attenzione di un pubblico abituato a dilettarsi su MySpace o con i video di YouTube.

È accaduto anche in Canada: la polizia ha deciso di postare su YouTube un video che potesse consentire l’identificazione di un giovane accoltellatore, dileguatosi nel fermento di un concerto hip-hop. Un video che ha collezionato oltre 35mila visioni, grazie alla popolarità guadagnata dal link, postato sui principali siti frequentati dalla rete sociale di cultori dell’hip-hop. Virtualmente accerchiato, il colpevole si è consegnato alle forze dell’ordine.

Anche queste ultime, dunque, dopo il mondo del marketing , iniziano a sfruttare la potenzialità del passaparola, che delle reti sociali online è il cardine. Forse non servirà a catturare un maggior numero di criminali: molti dei casi condivisi online sono stati risolti in maniera ordinaria. Certo è che la visibilità garantita a queste testimonianze può funzionare da deterrente.

Ma non solo. Queste comunicazioni diramate con media vicini ai netizen , facendo leva su un linguaggio condiviso, innescano l’innata vocazione delle persone a improvvisarsi detective. C’è il rischio che la polizia venga sommersa di segnalazioni disorientanti, c’è il rischio di calpestare la privacy delle persone che vengono mostrate nei video. Ma le forze dell’ordine sembrano intenzionate a correre questo rischio, per smuovere i social network e coinvolgerle nell’amministrazione del quieto vivere su scala globale.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
7 mar 2007
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