Software/ Usi e abusi delle licenze "Open"

Software/ Usi e abusi delle licenze "Open"

Alcuni giganti del software commerciale offrono dei vantaggi per l'acquisto di volumi massicci di software, appropriandosi del termine "Open", che ovviamente non ha niente a che fare con l'Open Source
Alcuni giganti del software commerciale offrono dei vantaggi per l'acquisto di volumi massicci di software, appropriandosi del termine "Open", che ovviamente non ha niente a che fare con l'Open Source


Ultimamente in diverse offerte commerciali per prodotti informatici appare spesso la parola “Open”, ad esempio come nel caso della Microsoft Open License Program. Microsoft non è la sola ad appropriarsi, quasi “indebitamente”, di questo termine: Adobe lo chiama “Open Option”, Computer Associates ed altri “Open Licensing”.

Ma che cosa è una “Open License”? Il termine si riferisce all’acquisto di grandi volumi di software, che sono venduti senza essere impacchettati singolarmente in box e senza CD-ROM. Con le varie “Open License” non occorre tenere conto dei singoli pacchettini, ma è sufficiente tenere traccia dei numeri delle licenze o dei keycodes (numeri seriali) che servono a sbloccare i software. Questi codici possono anche essere inviati per e-mail.

Sicuramente rende la vita più facile, ma fa risparmiare? Non tanto. È Open? Certamente no.

Come potrete indovinare dai nomi delle aziende che le offrono, le “Open License” non hanno niente a che fare con l'”Open Source”, a cui in qualche modo vorrebbero ispirarsi o a cui hanno comunque tratto spunto sull’onda della “moda”. Anzi, i produttori principali che usano tale termine sono quelli più interessati alla rovina del software libero.
Non si può pensare ad aziende più ostili alla filosofia Open Source di
Microsoft o Adobe (fortunatamente una gran quantità di software da loro prodotto ha un equivalente Open Source, come Linux, Open Office, Ghostscript e Gimp).

D’altro canto, le aziende che credono in Linux, come Corel e Lotus, evitano con attenzione la parola “Open” quando descrivono i loro programmi per acquisti di massicci volumi di software…

Si può pensare che pagare i numeri delle licenze o dei keycodes piuttosto che i contenitori di cartone o plastica faccia risparmiare soldi, tempo e spazio. Questo genere di transazione è stato creato appositamente per l’e-commerce, per velocizzare il processo di acquisto, direttamente dall’editore del software verso l’acquirente. Purtroppo, i meccanismi dell’industria del software proprietario rendono queste trovate commerciali molto meno attraenti di quello che si possa pensare a prima vista.

L’ostacolo principale che impedisce ai clienti di avere reali risparmi sulle licenze di massa è l’intervento dei grossisti e dei rivenditori del software. Questa complessa catena di distribuzione ha uno scopo importante nel far muovere il software singolo (impacchettato), ma sicuramente non viene incontro al desiderio del cliente di ottenere rapidamente ed a buon mercato i codici supplementari.

I rivenditori non si sono impauriti dai programmi “Open License”, dato che ci sono vari modi in cui possono entrare in queste transazioni semplificate.
A causa di questa partecipazione supplementare la velocità e la convenienza delle transazioni online viene meno, sostituita da procedure burocratiche spesso ingombranti e piene di inutili fogli di carta.

Le procedure per far partecipare “alla festa” i rivenditori sono complesse e macchinose. Tuttavia, secondo un rapporto, è l’utilizzatore finale, non il reseller, che viene danneggiatto di più in questo processo.

Uno dei business da parte dei produttori di software è la minaccia di verifica del software installato. E’ molto facile perdere o confondere numeri di licenza. Si potrebbe pagare due volte per una semplice dimenticanza o confusione. Ciò succede più difficilmente con i “costosi” software singoli.

Utilizzando software Open Source non ci sono problemi di volume: li si può installare su tutte le macchine che si vuole e senza dover pensare al numero preciso di licenze possedute. E questo è l’unico caso in cui la parola “Open” possa essere giustamente interpretata.

Luca Bove

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Pubblicato il
14 gen 2001
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