Sounday, l'etichetta fai-da-te

Sounday, l'etichetta fai-da-te

Nata a Torino, la piattaforma si propone come un acceleratore di opportunità per gli artisti. Che verranno accompagnati lungo l'intero ciclo di vita, scegliendo tra vari servizi a pagamento. Per superare il vecchio modello delle major
Nata a Torino, la piattaforma si propone come un acceleratore di opportunità per gli artisti. Che verranno accompagnati lungo l'intero ciclo di vita, scegliendo tra vari servizi a pagamento. Per superare il vecchio modello delle major

Due mesi di studio e lavoro in Silicon Valley. Per riflettere su un quesito fondamentale: cosa significa essere label . Ma soprattutto come gestire un’etichetta discografica che sia al passo coi tempi, quelli del digitale. Una sfida che i fondatori di Sounday – startup nata a Torino tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 – sembrano aver intrapreso tra passione per la musica e inevitabile spirito imprenditoriale.

Un percorso iniziato a partire da un gruppo di amici con diverse competenze e gli iniziali sforzi economici di un venture capitalist . Prima di iniziare a fare sul serio nel maggio di quest’anno, tagliando il nastro inaugurale di una piattaforma online in public beta . Obiettivo primario, garantire agli artisti un percorso che li accompagni nell’intero ciclo di vita, a partire dal caricamento dei brani fino ad arrivare al merchandising e alla gestione degli eventi dal vivo .

Una piccola rivoluzione, stando almeno a quanto spiegato a Punto Informatico dal CEO di Sounday Giuseppe Ravello . Una piattaforma che fornisca agli artisti tutto ciò di cui hanno effettivamente bisogno, con evidenti risparmi di tempo e soprattutto costi. “Dare una possibilità agli artisti”. Così si legge sul sito ufficiale di Sounday. Trascinare gli autori al centro di gravità artistica , in modo da superare il tradizionale modello finora adottato dalle major.

Perché – come sottolineato dallo stesso Ravello – una piattaforma come iTunes non parla direttamente con gli artisti, bensì con gli operatori/aggregatori, magari solo di un certo peso. I cardini della rivoluzione sarebbero allora imperniati sulle attuali possibilità offerte dal web, soprattutto da servizi che si pongano come dei centri fai-da-te per accompagnare con semplicità ed efficienza le varie fasi del ciclo di vita di un musicista .

“L’artista non firma alcun contratto discografico con noi – ha spiegato il CEO di Sounday – è assolutamente libero”. Libero ad esempio di sfruttare solo alcuni dei vari servizi offerti dalla piattaforma torinese. Come ad esempio quello che permette il caricamento di album – ad esempio un EP di 6 pezzi – al prezzo one shot di 54 euro . L’album finirà in distribuzione online su iTunes, che provvederà quindi alla suddivisione dei ricavi con gli stessi artisti.

In sostanza, nessun obolo da versare a Sounday né responsabilità da parte del sito torinese. A parte la quota versata per effettuare l’upload del disco. Come illustrato da Ravello, la startup provvede regolarmente al pagamento dei diritti SIAE per eseguire lo streaming dei brani ospitati sulla sua piattaforma . I ricavi generati dagli artisti saranno dunque suddivisi solo con lo store online della Mela.

“Basta entrare nella piattaforma e riempire l’apposito form – ha spiegato Ravello – quindi eseguire l’upload delle canzoni e altre caratteristiche dell’album come la copertina. La novità è che il pagamento avviene non su base annuale, bensì one shot . E che non ci sono quelli che vengono definiti costi nascosti”. Come ad esempio quelli relativi all’ottenimento del codice ISRC o ad azioni di take down – rimozione dei brani da iTunes – che spesso vengono pagati in un secondo momento e soprattutto a sorpresa.

Sounday andrebbe dunque visto come un hub , come un comune aeroporto. Gli artisti possono usufruire di anche un solo servizio tra quelli offerti. Ad esempio pagando circa 200 euro per il mastering/mixing di un album , con la direzione artistica di produttori del calibro di Stefano Fontana (già con Bugo e Meg). In altre parole, Sounday funziona come un grande self service della musica, dove si paga solo ciò che viene effettivamente consumato.

E il discorso label? Come sottolineato da Ravello, Sounday si riserva la possibilità concreta di trasformarsi in un vero e proprio editore. Stabilendo cioè un contatto diretto – one to one – con gli artisti più interessanti, con quelli che magari abbiano portato avanti un progetto valido a livello creativo e commerciale. Da questo punto potrebbe risultare decisivo il report sui guadagni che iTunes comunica regolarmente ai responsabili del sito.

Ma Ravello non promette superstar del nuovo pop. Essere label ai tempi del digitale significherebbe trasformarsi in un vero e proprio acceleratore di opportunità per le menti creative. Essere un operatore che conosca le dinamiche digitali, per facilitare i più vari progetti artistici. Da questo punto di vista è ormai vecchio il modello che imporrebbe ai musicisti di passare per le classiche booking agency prima di organizzare una serata dal vivo.

Vecchio il modello che imporrebbe agli artisti di effettuare il mastering di 50 CD per la presentazione live. Sounday si proporrà come un intermediario digitale, mettendo i vari profili artistici in diretto contatto con i locali sul territorio . Sulla piattaforma potranno infatti essere caricati dei veri profili social, che fungerebbero in sostanza da vetrina avatarizzata di presentazione.

La sfida di Sounday è appena iniziata. Entro la fine del 2010 dovrebbero risultare pienamente operativi altri tre servizi, a completamento della prima versione della piattaforma. Nuove feature arriveranno nel corso del 2011. Ma, alla fine, cosa significa essere label? Ravello sembra convinto: non più cancelli da aprire soltanto con determinate chiavi. Acceleratore sonico di opportunità.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
29 ott 2010
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