Spamhaus, vittoria d'appello

Spamhaus, vittoria d'appello

L'osservatorio anti-spam britannico batte e360 dopo cinque anni. La società di Chicago non è riuscita a dimostrare in aula di aver effettivamente subito danni economici dall'inclusione del suo nome nella blacklist degli spammer
L'osservatorio anti-spam britannico batte e360 dopo cinque anni. La società di Chicago non è riuscita a dimostrare in aula di aver effettivamente subito danni economici dall'inclusione del suo nome nella blacklist degli spammer

Era il lontano 2007 quando la società specializzata in mail marketing e360 scatenava un’agguerrito scontro legale contro Spamhaus, celebre osservatorio britannico anti-spam. Circa 3 miliardi di email inviate dall’azienda di Chicago erano infatti state bloccate da vari provider, dopo che la stessa Spamhaus aveva inserito il suo nome in una specifica blacklist di servizi legati alla posta indesiderata .

A distanza di tre anni, un giudice dell’Illinois accordava ai vertici di e360 un risarcimento pari a 27mila dollari, dopo che Spamhaus aveva deciso di non presentarsi in aula perché fuori dalla giurisdizione di competenza. Una corte d’appello in terra statunitense ha ora quantificato in appena 3 dollari la somma da versare alla società di Chicago, che dovrà però pagare le spese legali finora sostenute da Spamhaus .

In sostanza, una vittoria per l’osservatorio britannico, a cinque anni di distanza dai primi fuochi sparati in aula da e360. Il giudice d’appello ha così sottolineato come i legali della società statunitense non abbiano mai portato in aula prove sufficienti a dimostrare le astronomiche pretese economiche della stessa e360, soprattutto nel calcolo dei danni subiti dall’inclusione nella blacklist .

David Linhardt, fondatore di e360, aveva infatti chiesto al giudice di primo grado cifre differenti, dai primi 135 milioni di dollari ai successivi 122, poi scesi a 30 milioni . La società aveva successivamente dichiarato bancarotta, citando i danni causati da Spamhaus come principale causa. Prove non adeguate hanno convinto il giudice d’appello a dare ragione all’osservatorio anti-spam.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il 6 set 2011
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