Isiamed, un emendamento da 3 milioni di euro | Punto Informatico

IsiameD: tre milioni di dubbi

Succede tutto il 27 dicembre 2017, quando durante l'approvazione della legge finanziaria compare e viene approvato l'emendamento 1087 che accredita 3 milioni di euro alla IsiameD per la promozione di un nuovo modello digitale italiano: quanto basta per scatenare un putiferio attorno ad una vicenda che ha più di un lato oscuro.
IsiameD: tre milioni di dubbi
Succede tutto il 27 dicembre 2017, quando durante l'approvazione della legge finanziaria compare e viene approvato l'emendamento 1087 che accredita 3 milioni di euro alla IsiameD per la promozione di un nuovo modello digitale italiano: quanto basta per scatenare un putiferio attorno ad una vicenda che ha più di un lato oscuro.
Giacomo Dotta
Pubblicato il

Emendamento 1087

Ha tutto inizio con un semplice emendamento di poche righe che si perdono tra i meandri di uno dei passaggi parlamentari più importanti dell’intera annata. Testualmente, ecco il testo proposto dai rappresentanti di ALA Antonio Milo e Pietro Langella:

1087. Al fine di affermare un modello digitale italiano come strumento di tutela e valorizzazione economica e sociale del made in Italy e della cultura sociale e produttiva della tipicità territoriale, è assegnato un contributo pari a 1.000.0000 di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 in favore dell’istituto IsiameD per la promozione di un modello digitale italiano nei settori del turismo, dell’agroalimentare, dello sport e delle smart city.

La lettura dell’emendamento 1087 ha aperto immediatamente un grosso punto interrogativo tanto sul significato del testo, quanto sull’opportunità dell’investire 3 milioni di euro in un progetto così poco definito. Fin da subito è stato però chiaro soprattutto come dietro queste poche righe potesse esserci molto di più, ed a fornire una chiave di lettura alternativa (che sposta il merito del dibattito su ben altro fronte) sono le dichiarazioni del ministro Calenda, dell’on. Stefano Quintarelli e dell’on. Stefano Esposito.

L’on. Calenda è il primo ad impugnare il caso rispondendo ad alcune sollecitazioni provenienti da Twitter: “Emendamento parlamentare mai dato parere positivo. Non ne sapevo nulla finché non segnalato da voi. Non ho la più vaga idea di cosa sia. Mi sembra una roba stravagante, a dir poco”. Una stravaganza che non trova etichetta, ma per la quale Calenda prenderà in seguito in mano la situazione (almeno fin quando in carica, prima del cambio di Governo).

L’on. Quintarelli tradusse il concetto di “stravaganza” espresso da Calenda in qualcosa di più esplicito: “Regalo di Natale a Verdini”. In seguito Quintarelli approfondirà le proprie sensazioni con approccio estremamente pragmatico: il problema non è la marchetta in sé, poiché la ragion di stato può contemplare anche trattative di questo tipo pur di portare a segno gli obiettivi di Governo, ma in questo caso si tratta di qualcosa che supera il segno, che svilisce il ruolo del digitale e che va in direzione contraria rispetto a quella che dovrebbe essere una politica dell’innovazione nel nostro paese.

La spiegazione del teorema di Quintarelli giunse infine dall’on. Esposito: “Una marchetta necessaria ad avere i voti per approvare la manovra”. Insomma: in tempo di margini stretti per poter approvare una manovra finanziaria, per ottenere il benestare di una maggioranza occorre seminare piccoli favori a minoranze il cui peso specifico aumenta all’avvicinarsi della fine dell’anno. Una “marchetta” sarebbe quindi il modo scelto per avvicinare i favori dei cosiddetti Verdiniani, passando per un istituto che, prima della manovra finanziaria, nessuno aveva mai portato agli onori delle cronache in tema di innovazione e digitale.

Cosa è IsiameD

IsiameD significa, letteralmente, Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo.

Così si autodescrive l’istituto: “IsiameD produce innovazione digitale per valorizzare il modello tipico di azienda italiana e lo fa partendo da un pragmatico ascolto dei protagonisti, con un check digitale che rileva le competenze della governance, il modello organizzativo, il dialogo digitale del core business, la gestione del ciclo del credito”. Insomma: “IsiameD è lo strumento ideale per quelle Aziende, Enti, Istituzioni e Pubbliche Amministrazioni che desiderano affrontare la sfida della nuova economia globale”.

Il primo problema è insito nel Giano Bifronte di un nome che è in apparenza due cose allo stesso tempo: da una parte c’è l’Istituto senza fini di lucro, nato nel 1974 da nomi molto vicini alla Democrazia Cristiana, in linea teorica destinatario del danaro proveniente dal famigerato emendamento 1087; dall’altra c’è Isiamed Digitale srl, qualcosa dalla natura molto differente in quanto srl. Eppure il nome è lo stesso, l’indirizzo è lo stesso, la sede è la stessa e identico è anche il numero di telefono. Una sovrapposizione che desta più di un dubbio e che conferma, agli occhi di chi già aveva colto le dissonanze di questa storia, che dietro l’emendamento di ALA ci fosse qualcosa di distorto.

È la stessa IsiameD a sostenere dalle pagine del CorCom come la destinazione dei 3 milioni di euro siano la versione senza fini di lucro di IsiameD:

Il Parlamento ha individuato, per affermare “un modello digitale italiano”, lo storico Istituto Italiano per l’Asia e per il Mediterraneo, accreditato nelle relazioni internazionali dove si è guadagnato la stima delle ambasciate presenti in Italia, di Governi ed importanti forum di economia di ogni continente. L’Istituto Italiano per l’Asia ed il Mediterraneo è una associazione che non ha fini di lucro ed è presieduto da una autorevole personalità come Gian Guido Folloni, per 9 anni direttore di Avvenire chiamato da Sua Santità San Giovanni Paolo II e con esperienze istituzionali come senatore e come Ministro della Repubblica.

Va ricordato come la Isiamed Digitale srl sia nata (altra combinazione non certo di poco conto) appena 20 giorni prima dell’approvazione del famigerato emendamento. E che al momento dell’assegnazione dei 3 milioni di euro abbia appena 4 dipendenti.

Il caso IsiameD

Il problema di IsiameD è nel fatto che, dopo Italia.it e VeryBello, il mondo del digitale in Italia abbia un nervo scoperto che è meglio non solleticare. Troppi milioni sono andati in fumo e troppo pochi progetti sono andati a buon fine: quando un emendamento torna a versare 3 milioni all’interno di un nome dai troppi lati oscuri, ecco che una certa sensibilità viene a galla. E per i beneficiari del denaro il tutto si trasforma in un boomerang combattuto a colpi di tweet e di segnalazioni di verifica.

Della vicenda si occupa anche Milena Gabanelli per il Corriere della Sera, la cui inchiesta parte dai dati di fatto relativi alla proprietà IsiameD:

La società è al 75% di Vincenzo Sassi, piemontese con svariate partecipazioni in società di mediazione creditizia e recupero crediti, e al 25% dell’Istituto italiano per l’Asia e il Mediterraneo, un’associazione che da anni organizza convegni e si occupa di scambi fra Mediterraneo e Cina e che fa capo a Gian Guido Folloni, ex giornalista, ex democristiano ed ex ministro per i Rapporti con il Parlamento tra il 1998 e 1999 nel primo governo D’Alema. Sia Sassi che Folloni non sembrano avere competenze di sviluppo digitale.

Quel che emerge dai primi approfondimenti è un ulteriore corto circuito che fa pensare: Antonio Milo, co-firmatario dell’emendamento 1087, è il padre di Gianluca Milo, consigliere della partecipata IsiameD “Consorzio Italiano per le Infrastrutture e servizi del territorio” (il cui presidente è un ex-senatore ALA). Il Consorzio risulta avere un presidente (ex-senatore ALA) e un secondo consigliere: lo stesso Vincenzo Sassi già proprietario IsiameD.

Quello che per alcuni è un grosso interrogativo, per altri è un qualcosa di completamente trasparente e lecito. Così Domenico Garrone, senior partner IsiameD, tramite le pagine del CorCom:

Ha fatto bene il Parlamento a dimostrare finalmente terzietà e a scegliere di salvaguardare la sovranità digitale nella sua ultima legge di bilancio: era improcrastinabile provvedere a una radicale correzione di rotta rispetto ad una traiettoria di scelte “a prevalenza informatica” che avevano semplicemente trascurato il dna del made in Italy.

Una volta sollevato il polverone, le parti chiamate in causa hanno dovuto giocoforza schierarsi: chi è rimasto dalla parte di Isiamed, come la senatrice Magda Zanoni (relatrice del provvedimento), ha difeso la trasparenza della procedura e la piena limpidezza dell’operato del Parlamento; chi si è schierato contro ha dovuto invece muoversi per dar corpo alle proprie argomentazioni. A fine dicembre 2017, ad esempio, Carlo Calenda spiega dapprima di non avere il potere di invertire i destini di un emendamento già approvato, e poi di voler verificare la compatibilità dell’intervento con le normative europee. Un buon modo per smuovere le acque secondo alcuni, uno scaricabarile in vista del ricambio di governo secondo altri punti di vista: nei fatti l’emendamento rimane approvato e, se il caso finisse insabbiato nel passare dei giorni, i tre milioni andranno ove destinati da legge finanziaria.

Il dominio conteso

Una storia collaterale, ma di fatto sostanziale in questa vicenda, è quella del dominio isiamed.com. Quando la vicenda è esplosa e molti se ne sono interessati per capire a chi stessero per andare questi famigerati 3 milioni di euro, una persona in particolare ha compiuto una ricerca specifica che oggi spiega così:

La questione della promozione di un progetto legato al digitale, collegata al fatto che il governo decise di concludere il suo mandato senza approvare le tante riforme sul digitale che invece sono ancora oggi necessarie, ha ovviamente attratto la mia (e quella di tanti altri) attenzione. La prima ed elementare cosa che fa un “adepto” (non è necessario essere un esperto) digitale è verificare chi sia l’ente o l’azienda di cui si parla andando a sbirciare sul sito: ho quindi aperto il browser e scritto “www.isiamed.it”, scoprendo che non c’era alcun sito, ma una pagina di parcheggio. Ho quindi scritto “www.isiamed.com” e poi “www.isiamed.eu” ottenendo un “errore: dominio inesistente”.

Non solo i siti non esistevano, ma i domini erano completamente liberi. Di qui l’idea firmata da Aldo Prinzi, il quale ha fatto proprio il dominio per portarci su tutti i dubbi che a mano a mano emergevano sulla vicenda. IsiameD ha tentato di fermare questa iniziativa chiedendo di restituire i nomi a dominio (mai registrati) e di interrompere quella che è stata ipotizzata come una attività di diffamazione. Per Aldo Prinzi, difeso da WebLegal, è giunta una vittoria su tutta la linea: la diffamazione non è stata dimostrata e il dominio rimane nelle mani di chi lo ha registrato. Oggi isiamed.com rimane il punto di riferimento per quanti intendono rileggere la storia di quanto fin qui accaduto.

Cosa dice l'anticorruzione

Uno degli aspetti più dibattuti sulla vicenda Isiamed è relativa a quel che può essere, significare e rappresentare la definizione di “modello digitale italiano“. Sicuramente non è l’emendamento 1087 ad esplicare questo concetto e difficilmente è possibile ravvedere qualcosa di troppo ambizioso all’interno di soli 3 milioni di euro di investimento.

A spiegare cosa sia il modello, almeno a livello teorico, è la relazione che l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha portato avanti a seguito dell’acquisizione di documentazione relativa direttamente dall’Isiamed (pdf):

L’attività oggetto del contributo statale consisterebbe nella diffusione di una nuova metodologia nell’utilizzo delle tecnologie digitali, elaborata dall’IsiameD al fine di migliorare la competitività delle imprese e favorire, in generale, la fruibilità dei servizi offerti, con i conseguenti effetti positivi sulla crescita del tessuto economico e sociale nazionale.

Quanto segue è invece frutto dello sforzo interpretativo posto in essere dall’Autorità:

Dal dato normativo e da quanto esposto dall’Isiamed in merito alle caratteristiche del progetto/metodologia elaborato, può desumersi che il contributo in questione sia un intervento di politica economica inteso a sostenere un progetto di diffusione di un’innovazione di processo nel settore dell’ITC ovvero, utilizzando una definizione fatta propria a livello europeo, un progetto di ricerca e sviluppo sperimentale, consistente nella acquisizione, combinazione, strutturazione e utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti nel settore della tecnologia digitale, allo scopo di sviluppare un processo/servizio nuovo o migliorato per le imprese, le amministrazioni pubbliche e i cittadini.

Di qui, però, i dubbi dell’Anticorruzione circa quanto appreso in relazione al cosiddetto “modello digitale italiano” che IsiameD vorrebbe promuovere con i fondi garantiti dall’emendamento alla legge finanziaria 2017: “suscita perplessità in
ordine alla reale compatibilità dell’aiuto con gli obiettivi dell’Unione Europea. […] Sotto tale profilo, il contributo in oggetto non appare coordinato con le altre strategie pubbliche: […] tale circostanza genera il rischio di spendere in modo non produttivo i fondi disponibili”. Pertanto, a causa della genericità della descrizione del modello digitale italiano in oggetto, l’Anticorruzione ammette di non poter essere in grado di esprimersi circa necessità e adeguatezza dell’intervento. Palesa tutti i dubbi del caso, esprime ampie perplessità sull’opportunità dei fondi stanziati, ma alza le mani di fronte ad un intervento diretto in senso correttivo.

Con data 11 aprile 2018, Raffaele Cantone boccia insomma l’emendamento 1087 con parole che spazzano via molti dubbi:

Alla luce di quanto sopra rappresentato, l’Autorità segnala la necessità di un intervento urgente del Governo e del Parlamento affinché siano attuate le azioni correttive ritenute più idonee a superare le criticità evidenziate, non esclusa l’abrogazione della norma stessa.

La parola torni al Parlamento, dove tutto ha avuto inizio. Nel modo in cui la questione si avvita su sé stessa, il problema non sembra essere di tipo legale, ma sicuramente occorre porre un problema di opportunità:

  • perché finanziare con 3 milioni di euro un modello che nessuno ha prima chiesto né valutato?
  • perché solo 3 milioni di euro se lo considera una cosa tanto urgente da doverla inserire all’ultimo nella legge finanziaria?
  • perché non rivalutare con calma la questione, per essere certi che la scelta del Parlamento sia stata pienamente consapevole, senza che in troppi debbano prenderne le distanze definendola una “marchetta” con ben altra finalità.