Stanca: dai che siamo italiani

Stanca: dai che siamo italiani

Basta con certe distonìe, è tempo che tutti in Italia incrocino i fili dei mouse, battano le dita sulla stessa tastiera, attingano dallo stesso dindarolo. Tutti insieme in un Patto
Basta con certe distonìe, è tempo che tutti in Italia incrocino i fili dei mouse, battano le dita sulla stessa tastiera, attingano dallo stesso dindarolo. Tutti insieme in un Patto


Roma – “Un’idea nuova e brillante quella venuta in mente al ministro all’Innovazione Stanca: un patto per l’Italia”. La facile battuta, circolata ieri dopo la diffusione di una nota del ministero, è peraltro perfettamente comprensibile: secondo il Ministro, infatti, è ora che pubblica amministrazione, finanza, ricerca, imprese e chi più ne ha più ne metta lavorino al meglio e lavorino assieme.

L’idea, dunque, è nientemeno che quella di un “Patto nazionale per l’innovazione”.

Intervenuto all’Università di Udine, Stanca ha dichiarato che “bisogna stringere un patto per l’innovazione in quanto il deficit di innovazione delle imprese italiane pesa non solo sulla loro competitività, ma anche sullo stesso sviluppo del paese. E, quindi, si impone un intervento di carattere strutturale da parte del governo, non tanto per sostenere la nostra industria, che ha potenziali rilevanti in un momento congiunturale sfavorevole, quanto per fornire impulso alle imprese che non innovano”.

Un nuovo modo, dunque, per bacchettare le imprese alle quali Stanca ha peraltro già ventilato aiuti , quelle imprese che non subiscono il fascino della cultura del rischio.

“Con il Patto – ha affermato Stanca – tutti devono fare la loro parte e farla assieme: le istituzioni centrali e locali, che devono creare il contesto; la scuola e l’università, per generare professionalità in linea con la domanda; la ricerca integrata nella comunità internazionale e sempre più impegnata a sostenere la competitività del sistema Italia; la finanza, che renda disponibili capitali di rischio con modalità innovative; la Pubblica Amministrazione, per un uso intelligente della domanda pubblica e come facilitatore dell’innovazione; il mondo delle imprese, che abbracci con la cultura del rischio anche quella dell’innovazione e, non ultimo, il mondo della comunicazione che accenda i riflettori e apra il dibattito su questo tema”.

Si aprano le danze, orsù.

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Pubblicato il
17 apr 2003
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