“Gentile redazione di Punto Informatico, Vi scrivo per richiedere che sia messo in evidenza un fatto che a me è apparso tanto increscioso quanto inquietante.
Nei fatti riguardanti il delitto di Perugia (o di Garlasco, non ricordo bene), molti giornali hanno messo in evidenza la password del computer dell’indagato.
Probabilmente l’indagato ha fornito la password agli inquirenti, questi l’hanno verbalizzata e la stampa, presa visione dei verbali, ha ben pensato di spiattellare la password dell’indagato, come se questa rappresentasse chissà che cosa.
Il punto è che molte persone sono solite usare la stessa password per tutto, dall’accesso al computer, all’account di posta, a quello del conto in banca, o di eBay, o di PayPal, a numerosi forum e siti, compreso, magari, quello di P.I.
Non devo certo spiegare proprio a Voi quanto immenso possa essere il danno che potrebbe essere causato a questo indagato, da parte di ignoti, che, conosciuta la password, provassero ad accedere alla sua vita privata in rete.
E se l’indagato fosse pure in custodia cautelare, o impossibilitato a cambiare le proprie password ai server in rete?
In considerazione del fatto che una password è qualcosa che non ha alcuna utilità per la cronaca e l’opinione pubblica, ritengo che sia indispensabile far in modo che questa non venga diffusa per nessun motivo dagli inquirenti.
Altrimenti il timore che questa possa diventare di pubblico dominio scoraggerebbe molti dal dichiararla. E noi stiamo qua a preoccuparci se nel Regno Unito chi è reticente a consegnare le password rischia la galera!
Roberto M.