Basterebbe sfogliare le pagine degli antichi testi sacri per leggere descrizioni di sconvolgenti catastrofi in epoche remote. Disastri che avrebbero già colpito il nostro pianeta e che potrebbero verificarsi nuovamente. Cosa dice la scienza al riguardo e quali studi sono stati compiuti e quanto sono credibili? Prima o poi il mondo avrà a che a fare con le peggiori catastrofi naturali? Gli scienziati stanno cercando di fare oggi ciò che in passato era impensabile: controllare la natura e salvare la Terra. In svariati campi l’ingegno umano sta tentando di contrastare la forza di Madre Natura. La tecnologia può contribuire a salvarci? Saremo mai capaci di prevenire l’apocalisse?
Asteroidi non identificati
Da qualche parte nel cosmo, secondo gli scienziati, c’è una roccia destinata al nostro pianeta. “Le probabilità di un disastro globale causato dall’impatto di un asteroide sono altissime”, ha spiegato il fisico ed astronauta Stan Love , autore di numerose pubblicazioni sulle collisioni degli asteroidi. “Gli impatti come quelli che hanno estinto i dinosauri -ha evidenziato- avvengono in media ogni 100 milioni di anni. È impossibile stabilire quando si verificherà un altro evento simile. Potrebbe accadere domani o tra 200 milioni di anni”. Gran parte dei milioni di asteroidi del nostro sistema solare sono a distanza di sicurezza e girano attorno al Sole su una fascia vicino a Giove (ad oggi sono stati catalogati oltre 600.000 asteroidi, detti anche pianetini o planetoidi). Ma circa ventimila di essi attraversano l’orbita terrestre e sono abbastanza grandi da causare gravi danni. Finora sono state identificate le orbite di un decimo di queste potenziali minacce. In confronto ai pianeti e alle stelle gli asteroidi sono piccoli, scuri e difficili da rilevare. Il tempo di reazione necessario per la potenziale collisione di un asteroide conosciuto è di qualche anno ma gli asteroidi non identificati potrebbero impattare con poco o nessun preavviso.

A differenza degli asteroidi, le comete sono corpi celesti relativamente piccoli, simili agli asteroidi ma composti prevalentemente di ghiaccio e sostanze volatili come biossido di carbonio, metano e aggregati di polvere e vari minerali. Esse hanno vita relativamente breve, i ripetuti passaggi vicino al Sole infatti le spogliano progressivamente degli elementi volatili. Alcune comete possono però cadere nel Sole oppure entrare in collisione con un pianeta, durante le loro innumerevoli orbite nel Sistema solare. Le collisioni tra pianeti e comete sono piuttosto frequenti su scala astronomica. Secondo gli esperti la Terra incontrò una piccola cometa nel 1908, l’esplosione ebbe luogo nella taiga siberiana di Tunguska e abbatté decine di milioni di alberi.

Scenario apocalittico
Le possibilità che un asteroide entri in rotta di collisione con la Terra sono altissime. La scienza ha elaborato molte soluzioni per impedire che ciò accada. Ma se un asteroide giungesse senza il preavviso necessario per neutralizzarlo, cosa ne sarebbe del nostro pianeta? Stan Love ha cercato di immaginare ciò che accadrebbe se non riuscissimo a prevedere un impatto devastante. “L’asteroide colpirebbe la superficie della Terra e penetrerebbe al suo interno per almeno 30 chilometri prima di arrestarsi e questo in non più di tre secondi. Il calore fonderebbe l’asteroide e anche la roccia target, entrambe inizierebbero a “bollire” e questa roccia fusa e vaporizzata si espanderebbe fino ad esplodere come una bomba”. L’esplosione creerebbe un cratere largo 160 chilometri e i detriti lanciati fuori dall’atmosfera cadrebbero a pioggia su tutto il pianeta. Dopo l’impatto le reazioni chimiche renderebbero l’atmosfera tossica per diversi anni. “È azzardato dire se gli esseri umani sopravvivrebbero, ma anche se la specie umana non fosse eliminata la quasi totalità della popolazione mondiale morirebbe. Sarebbe un disastro mai sperimentato nella storia dell’umanità”, ha aggiunto Stan Love. C’è qualcosa che possiamo fare per prevenire una simile catastrofe?
Specchi solari
Il geofisico Jay Melosh crede che possiamo approfittare del lungo periodo di preavviso per centrare l’obiettivo con l’energia solare. Lo scienziato ha un piano che prevede di lanciare degli specchi nello spazio e concentrare i raggi solari sulla roccia “killer”. “L’ipotesi di usare i raggi solari si basa sull’idea di sfruttare l’energia solare per trasformare l’asteroide in un piccolo razzo”, ha spiegato Melosh. Il piano richiede l’utilizzo di enormi specchi e di una lente che concentri l’energia solare in un braccio potente ed estremamente distruttivo. Nel vuoto dello spazio cosmico la piccola spinta creata dal vapore sulla superficie sposterebbe lentamente l’asteroide verso una nuova orbita. Nel New Mexico alcuni esperimenti compiuti su marmo, andesite e basalto hanno dato esito positivo. Ora bisogna comprendere come funzionerà nello spazio. Melosh vorrebbe poter lanciare in orbita il suo specchio solare con largo anticipo, in caso un asteroide fosse in rotta di collisione. Dovrà raggiungere il corpo celeste oltre un anno prima dell’impatto previsto. Usando una tecnologia già testata dalla NASA nella comunicazione satellitare verrà lanciato nello spazio un sottile specchio. La superficie riflettente sarà la più grande mai realizzata dall’uomo con un diametro di oltre 760 metri. Melosh prevede che un attacco prolungato, da sei mesi a un anno, riuscirà a spingere l’asteroide fuori dalla sua rotta di collisione.
Il trattore gravitazionale
Gli studiosi stimano che vicino alla Terra ci siano almeno 5.000 asteroidi più grandi di uno stadio da calcio. Sono abbastanza grandi da distruggere un continente, ma alcuni non sono composti da roccia solida. Questi cosiddetti accumuli di detrito sono in realtà degli agglomerati non compatti di rifiuti spaziali e sabbia tenuti insieme soltanto dalla forza di gravità. Come si devia un asteroide che può assorbire qualsiasi tipo di impatto senza subire danni apparenti? “Nell’universo ogni corpo esercita un’attrazione sugli altri. L’idea è di usare a proprio vantaggio questa legge universale di gravitazione”, ha sottolineato Stan Love. In quest’ottica entra in gioco il trattore gravitazionale , una navicella progettata per spostare l’asteroide senza entrare in contatto fisico. Anche se il trattore ha una grandezza infinitesimale rispetto all’asteroide creerà una piccola resistenza sulla sua orbita rallentandolo quasi impercettibilmente e alterando il suo percorso orbitale. Un trattore gravitazionale potrebbe salvarci da un disastro ma solo se avesse un intervallo di tempo sufficiente. Una piccola variazione orbitale avrà un grande effetto soltanto se verrà imposta molti anni prima dell’impatto.
Laser e missili
È comunque possibile che un asteroide non identificato o una cometa scura che abbia perso la scia luminosa possa arrivare con un preavviso molto breve, forse di pochi mesi. Cosa fare in questo caso? L’ingegnere aerospaziale della NASA Jonathan Campbell pensa che se un asteroide o una cometa arrivassero all’improvviso avremmo una sola speranza: il laser coassiale a scarica elettrica. Un mix di gas in collisione fra loro emetterebbe un raggio concentrato a infrarossi con una potenza elettrica di 15.000 volt. I gas emessi spingerebbero la cometa in una nuova direzione allontanandola dalla Terra. Un laser può essere prodotto da un piccolo reattore nucleare e, quindi, essere efficace anche nello spazio profondo. Non è possibile posizionare i laser sulla Terra perché l’atmosfera ne disperderebbe i raggi. Campbell crede che l’unica soluzione sia disporre una linea difensiva a laser su intercettori volanti oppure creare una base permanente sulla luna. E se un asteroide apparisse prima che questi progetti siano pronti? L’unica opzione potrebbe essere di lanciare missili nucleari. In realtà la NASA avrebbe immaginato anche un razzo in grado di creare una serie di esplosioni a distanza.
Lotta agli uragani
Che cosa si può fare per i pericoli che non vengono dallo spazio? Ogni anno, ad esempio, gli uragani fanno molte vittime e causano danni per milioni di euro.
L’uragano Katrina è stato uno degli uragani più gravi della storia degli Stati Uniti, il più disastroso in termini di vittime e danni economici. L’uragano Katrina, di categoria 5, si è formato il 23 agosto durante la stagione degli uragani atlantici 2005 ed ha causato devastazioni lungo gran parte della regione che comprende gli stati confinanti con il Golfo del Messico, cioè la Costa del Golfo degli Stati Uniti. Le maggiori perdite di vite e di danni alle infrastrutture sono avvenuti a New Orleans, in Louisiana, che è stata inondata a causa dell’inefficacia del sistema di argini. In totale hanno perso la vita 1.833 persone e sono stati stimati danni per oltre 100 miliardi di dollari. I nomi degli uragani atlantici sono pensati dall’Organizzazione meteorologica mondiale, che ha stilato sei liste di nomi propri, usate a rotazione anno dopo anno. I nomi attribuiti a uragani catastrofici vengono tuttavia eliminati dalla lista e sostituiti. Pertanto la denominazione Katrina indicherà per sempre la tragedia vissuta nel 2005.

Ad oggi non c’è alcun modo per prevenire gli uragani, ma in cielo e in terra gli scienziati stanno progettando sistemi per bloccare gli uragani prima che possano causare disastri. Gli uragani alimentati dalle acque calde di alcuni oceani hanno sempre portato la devastazione. L’aumento della temperatura degli oceani dovuto al riscaldamento globale potrebbe avere effetti futuri anche peggiori. Un grande uragano può avere un diametro di oltre 800 chilometri con venti che soffiano fino a 240 chilometri orari. Nell’arco di cinque giorni esprimono un’energia pari a un quarto di milione di bombe nucleari di Hiroshima. Gli esseri umani possono sperare di disinnescare queste minacce?
Sale anti-uragano
La soluzione potrebbe trovarsi nelle enormi tempeste di sabbia del Deserto del Sahara. Le rilevazioni satellitari indicano che quando le particelle di sabbia alla deriva collidono con gli uragani in via di formazione che si muovono dalla costa occidentale dell’Africa, quest’ultimi si indeboliscono anche in modo radicale. Nuove ricerche suggeriscono che le particelle di sabbia causino la formazione di piccolissime gocce d’acqua. Milioni di queste goccioline evaporano cadendo a terra, raffreddando tutto ciò che hanno attorno ed eliminando la fonte di calore stessa dell’uragano. Lo studioso Joe Golden crede di aver trovato il modo per replicare l’azione della sabbia sahariana trasportata dal vento usando il sale ridotto a grani più piccoli di un millimetro. “Ci vogliono aerei molto grandi -ha spiegato l’esperto- che possano trasportare 1 o 2 tonnellate di materiale da inseminazione e che andranno a inseminare a 250-300 chilometri di distanza dall’occhio del ciclone”. Golden crede che il metodo di inseminazione del sale possa ridurre i venti degli uragani di un tasso del 10-15 per cento, abbastanza da limitare i danni delle tempeste di decine di milioni di euro e salvare molte vite.
Pompe per svuotare gli uragani
Un progetto ancora più ambizioso mira ad alterare la superficie stessa degli oceani. Alan Blumberg, docente di ingegneria oceanica allo Stevens Institute of Technology del New Jersey, suggerisce di privare la tempesta del suo “carburante” sostituendo l’acqua calda della superficie con l’acqua più fredda che sta sotto. Come si fa nel mezzo dell’oceano a portare in superficie l’acqua fredda? Un’ipotesi è usare una pompa costituita da un lungo tubo che venga alimentata dalle onde superficiali. La pompa di Blumberg è una via a senso unico, l’acqua fredda può entrare dalla parte inferiore e uscire dalla parte superiore e sarebbe interamente alimentata dal moto naturale delle onde oceaniche. Le pompe dovranno avere un diametro di circa un metro e saranno lunghe 300 metri. Il piano avrà bisogno di una squadra di aeroplani da trasporto che dovrà lanciare almeno 200.000 pompe nel luogo prestabilito per raffreddare l’acqua 48 ore prima della tempesta. “Se si raffredda l’acqua di due gradi si può ridurre l’intensità dell’uragano del 50 per cento”. Molti esperti hanno evidenziato che il progetto non offrirebbe sufficienti garanzie, ma Blumberg è convinto che si tratti di dettagli che saranno risolti col tempo e con altre ricerche.
Difendersi dai super vulcani
Una “super eruzione” è l’emissione di lava vulcanica più grande che possiamo osservare sul pianeta. Ha la capacità di eruttare 2.000 chilometri cubici di detriti che potrebbero alterare il clima terrestre in modo significativo. Una super eruzione emette una quantità di ceneri e detriti da ricoprire un intero continente. Ancora non del tutto comprese dagli scienziati, si pensa che le super eruzioni siano causate dal magma bollente che sale dal nucleo della Terra attraverso fratture nel mantello terrestre. “Una super eruzione inizierebbe con una grande esplosione di ceneri e detriti fino ai confini dell’atmosfera. Poi molto di quel materiale ricadrebbe spandendosi e formando un uragano di ceneri e gas chiamato flusso piroclastico e questo devasterebbe un’area enorme”. La cenere nei polmoni umani si solidificherebbe come cemento e un velo chimico disperderebbe la luce del sole nello spazio bloccando per molti anni il suo calore sull’intero pianeta. Un metodo già sperimentato per arginare un’eruzione vulcanica consiste nel controllo dei flussi di lava. Si tratta di deviare la lava creando un’enorme buca sul suo percorso con l’ausilio degli esplosivi. Ma la quantità di lava di una super eruzione vanificherebbe qualsiasi tentativo di contenimento. Il modo migliore per ridurre i rischi per gli esseri umani sarà cercare di educare i cittadini. Alla fine l’unica strategia d’azione sarà preparare dei piani d’evacuazione per milioni di persone e fare scorte di cibo per degli anni per molte nazioni. Sfortunatamente neanche la tecnologia futura più avanzata sarà in grado di prevenire o ridurre l’impatto di una super eruzione.
Nel nostro pianeta ci sono dozzine di punti caldi conosciuti. Tra questi c’è la caldera del super vulcano di Yellowstone che si trova sotto l’omonimo parco nazionale negli Stati Uniti d’America. Un pennacchio di rocce incandescenti e in parte fuse penetra in Idaho e arriva a una profondità di 650 chilometri. Al di sopra la camera magmatica dello Yellowstone si sviluppa per un’area di 64×22 chilometri ed è profonda 8 chilometri arrivando a circa 6 chilometri dalla superficie. Le ultime tre super eruzioni del punto caldo al di sotto dello Yellowstone sono avvenute a intervalli di circa 600.000 anni. Dall’ultima sono trascorsi 640.000 anni e i geologi di recente hanno scoperto che l’intera area si sta sollevando lentamente. È il segno che il tempo è scaduto? Predica però cautela il vulcanologo Jack Lockwood : “Il problema con le forze della natura che alimentano le eruzioni è che possono iniziare con un modello preciso, ma non rispettarlo in ogni occasione. Questo potrebbe ingannare i vulcanologi”.

Ricordando l’eruzione dell’Etna
Nel dicembre 1991 ebbe inizio la più lunga eruzione dell’Etna del XX secolo, durata 473 giorni. La situazione venne giudicata pericolosa per la città di Zafferana Etnea e pertanto venne attuata una strategia di contenimento. In poche settimane venne eretto un argine di venti metri d’altezza che, per due mesi, resse alla spinta del fronte lavico. Tuttavia tali azioni non furono risolutive per arrestare il fronte lavico. Fu necessario infatti usare delle cariche esplosive speciali per intercettare il flusso lavico deviandolo verso l’interno della valle del Bove. Il 31 maggio 1992 scampò il pericolo per la cittadina di Zafferana, in quanto le colate a valle non erano più alimentate. L’eruzione continuò per altri dieci mesi riversandosi su sé stessa in Valle del Bove, senza suscitare più preoccupazione per i centri abitati, arrestandosi del tutto il 30 marzo 1993.