UK, un factotum per il copyright?

UK, un factotum per il copyright?

Potrà definire gli standard per filtri e sistemi DRM e sensibilizzare i cittadini della rete. Potrà mediare fra industria e provider e tracciare il futuro delle offerte legali di contenuti. Ma chi pagherà?
Potrà definire gli standard per filtri e sistemi DRM e sensibilizzare i cittadini della rete. Potrà mediare fra industria e provider e tracciare il futuro delle offerte legali di contenuti. Ma chi pagherà?

Un’autorità che possa presidiare la tutela del diritto d’autore online, un’autorità che sappia guidare i cittadini che tendono ad abusare della propria connettività, e che orienti gli attori dell’industria nella gestione degli strumenti tecnici per la proteggere la proprietà intellettuale. Il Regno Unito vorrebbe dotarsi di un’agenzia sappia giostrare le politiche a garanzia del copyright: sarà un’autorità indipendente dalle istituzioni, composta dagli attori dell’industria che operano in rete.

Prevista dal rapporto Digital Britain , la cui versione preliminare è stata presentata dalle autorità dell’Isola alla fine di gennaio, la Digital Rights Agency è ora oggetto di discussione da parte dell’Intellectual Property Office ( IPO ). IPO ha indetto una consultazione pubblica e innestato una provocazione che si dipana lungo numerose linee guida, che corrispondono alle funzioni che questa autorità indipendente potrebbe ricoprire.

IPO suggerisce che la Rights Agency si incunei fra gli attori del mercato e le proposte di legge improntate su schemi di avvertimenti, disconnessioni e misure tecniche di contenimento della pirateria. Potrebbe costituire un perno su cui far ruotare il dibattito, potrebbe impersonare il ruolo di arbitro nella discussione in cui si confronteranno l’industria dei contenuti, i provider e i cittadini della rete, agevolando così un quadro dinamico di autoregolamentazione , senza che il legislatore cristallizzi nel dettaglio il futuro della proprietà intellettuale online. L’ approccio dell’autoregolamentazione , caldeggiato dal ministro britannico della Proprietà Intellettuale David Lammy, è però sfociato finora in scontri tra provider e industria dei contenuti , gli uni restii ad assumersi la responsabilità di disconnettere gli utenti recidivi, gli altri insoddisfatti della collaborazione degli ISP nella tutela dei propri diritti.

La Digital Rights Agency potrebbe dunque agire da mediatore: qualora, come raccomandato nel rapporto Digital Britain, si dovessero introdurre delle disposizioni che prevedano misure tecniche per il blocco di certi protocolli o limitazioni di banda, piuttosto che sistemi DRM, IPO suggerisce che l’autorità abbia un ruolo nella definizione degli standard . Queste attività di contenimento, descritte da IPO come “non limitate ad arginare il P2P ma indirizzate all’individuazione di metodi effettivi per ridurre la violazione del copyright online” e ventilate a livello europeo con certi emendamenti proposti al Pacchetto Telecom , dovranno essere discusse fra industria e provider: l’Agency potrebbe assumersi il ruolo di “specificare quali misure implementare, quando e come”.

Ma non è tutto: la Rights Agency potrebbe rappresentare un punto di riferimento per le diatribe fra ISP e industria dei contenuti, ma anche il terzo polo dei cittadini della rete potrebbe contare sull’autorità. I netizen potrebbero rivolgersi all’agenzia per esporre le proprie recriminazioni qualora fossero accusati ingiustamente di aver attinto alla rete in maniera illegale, potrebbero denunciare alle autorità casi di abusi perpetrati dagli anelli della catena della tutela del copyright. Dalla Rights Agency potrebbero inoltre dipartirsi tutte le strategie per responsabilizzare e sensibilizzare gli utenti e indirizzarli verso offerte legali. L’autorità potrebbe altresì tornare a mediare fra industria e fornitori di connettività, agevolando l’avvento di sinergie legali e fruttuose per entrambe le parti.

Il documento di IPO sfiora inoltre il tasto dei costi : la Digital Rights Agency dovrà costituirsi come un’autorità alimentata dall’industria. Un’istituzione che potrebbe costare dai 500mila euro ai 2,7 milioni di euro all’anno. L’industria sarà disposta a finanziare una tale struttura? Come si dovranno distribuire gli investimenti? I cittadini della rete e gli autori dell’industria sono invitati a dibattere.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
17 mar 2009
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