San Francisco (USA) – La passione per la stampa digitale è quanto mai virale, ma quanti pensano che il futuro tecnologico del comparto possa essere affidato ad un batterio? Eppure su questo punta la University of California San Francisco , che ha trasformato l’Escherichia coli ( E.coli ) in una sorta di “pellicola fotografica”.
Il piccolo batterio convive teneramente con gli altri presenti nel nostro intestino, contribuendo alla digestione del cibo e alla fabbricazione di numerose vitamine essenziali. Sottratto al suo mestiere e geneticamente modificato, insieme a tanti altri compagni di sventura, è stato utilizzato come “film biologico”. Le stampe vengono realizzate proiettandovi un fascio di raggi infrarossi. La risoluzione ottenibile è di 100 Megapixel per pollice quadrato. Il problema è che, almeno per ora, bisogna aspettare almeno 12 ore per un’ istantanea .
La scoperta è stata pubblicata con dovizia di particolari nel numero di novembre di Nature , dedicato completamente al campo della biologia sintetica. Una ramo scientifico che si concentra nell’identificazione dei geni che controllano tratti specifici e nell’ingegnerizzazione di microbi che siano in grado di attivarli per dar vita a “strumenti” utili per la medicina e la tecnologia.
La “camera e le fotografie batteriche” sono il frutto del lavoro di un gruppo di studenti che ha partecipato alla competizione scientifica “Genetically Engineered Machine ( iGEM ) del MIT . Hanno vinto il primo premio, e condiviso l’onore con Chris Voigt, docente assistente della cattedra di chimica farmaceutica della UCSF.
“Le nostre fotografie biologiche sono una specie di gioco che però dimostra come la tecnologia e la medicina possano approfittare della ricerca nel campo della biologia sintetica. In pratica siamo intervenuti nel batterio per fornirgli nuove capacità, combinando i suoi geni in modo da raggiungere l’obiettivo”, ha spiegato Voigt.
Le fotografie batteriche, secondo gli studenti, permettono una qualità e precisione di stampa mai raggiunta in passato. “Stimiamo che la risoluzione sia di 100 Megapixel, o comunque dieci volte superiore rispetto alle stampe ad alta risoluzione. La differenza è che possiamo stampare le espressioni dei geni”, ha dichiarato Anselm Levskaya, il giovane leader del progetto. “Il gran numero di microbi con sequenza nota ci permettono di spaziare nella natura per individuare gli strumenti di cui abbiamo bisogno. Nel nostro caso cercando nel dominio della sensibilità alla luce abbiamo sviluppato un batterio foto-sintetico”.
Durante i vari test sono state realizzate varie stampe, compresi i ritratti dei giovani partecipanti. Come avviene per i pixel nei display tradizionali che possono variare da bianco a nero, così il batterio è in grado di produrre un pigmento o meno in relazione alla luce irradiata. L’immagine finale è composta dalle diverse reazioni degli stessi.
L’E.coli normalmente non è sensibile alla luce, quindi gli studenti sono dovuti intervenire geneticamente rendendolo foto-sensibile e capace di produrre una cromia in relazione alla luminosità ambientale. Con la realizzazione di un particolare proiettore è stato possibile trasferire immagini direttamente sulla coltura batterica. Dopo 12/15 ore di esposizione, che permettono ai batteri di moltiplicarsi, l’immagine compare e si fissa “magicamente”.
Le tecnologie biologiche che sono alla base di questo progetto possono essere utilizzate anche per altri intenti. Ad esempio, alcuni geni sono in grado di produrre plastiche o precipitare i metalli. Attivando questi geni con la luce, possono essere stampati ad alta risoluzione tutti i materiali.
“Non vedremo mai sul mercato una soluzione di questo tipo, ma la ricerca nano-tecnologica in questo caso ci ha permesso di comprendere che cosa si possa realizzare con l’ingegneria genetica nel campo della foto-sensibilità”, ha concluso Voigt.
Dario d’Elia