Un'impronta per lo studente

Un'impronta per lo studente

di G. Scorza - Un preside italiano pensa alla biometria all'ingresso della propria scuola. Per scoraggiare assenze e ritardi non giustificati, finendo per formare cittadini abituati ad essere schedati
di G. Scorza - Un preside italiano pensa alla biometria all'ingresso della propria scuola. Per scoraggiare assenze e ritardi non giustificati, finendo per formare cittadini abituati ad essere schedati

È rimbalzata nei giorni scorsi dalle pagine de La Repubblica l’ iniziativa di Gerardo Marchitelli, Preside dell’Istituto comprensivo Duse di Bari, di implementare un sistema di rilevazione delle presenze a scuola dei propri studenti attraverso l’acquisizione delle loro impronte digitali al suono della campanella.
Il Preside – uno dei pionieri del digitale nelle scuole e già promotore di numerose altre iniziative altrettanto innovative – ai microfoni de La Repubblica racconta di aver concepito il suo progetto pensando ai “quattrocento studenti delle medie o, meglio, alle ragazzine: molti dei nostri ex alunni non continuano gli studi dopo l’età dell’obbligo e la mattina gironzolano intorno alla scuola”, inducendo magari “primi amori e fidanzatine” a saltare la prima ora.

“Il classico sms avvisa i genitori dell’ingresso alla seconda ora, e magari arriva a mezzogiorno – ha aggiunto Marchitelli – a me interessa, trattandosi di minorenni, che le famiglie siano informate in tempo reale anche dei 20 minuti di ritardo, che altrimenti passerebbero inosservati, ma spesso sono sistematici”.Guai a negare che l’obiettivo perseguito dal Preside dell’Istituto Duse sia nobile e lodevole ma il ricorso addirittura alle impronte digitali per verificare che centinaia di adolescenti non entrino a scuola in ritardo, qualche perplessità non può non sollevarla.

Le impronte digitali, infatti, rappresentano alcuni tra i dati biometrici più critici di una persona ed il loro utilizzo, come più volte sottolineato dalle autorità garanti di tutta Europa, dovrebbe essere ponderato con particolare attenzione e cautela, ricorrendovi solo quando davvero necessario in relazione alle finalità perseguite e nel severo rispetto di una lunga serie di speciali misure di sicurezza.
Proprio sull’uso delle impronte digitali per facilitare l’accesso a luoghi pubblici e privati è, d’altra parte, dedicato il provvedimento dello scorso 12 novembre 2014 della nostra Autorità Garante per la privacy, un provvedimento con il quale si dà una sostanziale luce verde al ricorso a tali sistemi ma a condizione che il titolare del relativo trattamento adotti accorgimenti rigidi e severi, espressamente identificati nel provvedimento medesimo.
Senza contare che il principio della proporzionalità e necessità del trattamento resta sempre e comunque il faro al quale dovrebbe ispirarsi chiunque abbia intenzione di iniziare a trattare dati personali altrui.

Ed il punto che lascia perplessi dell’iniziativa del Preside dell’Istituto barese è esattamente questo. Serve davvero acquisire addirittura l’impronta digitale di centinaia di studenti per verificare che siano in orario ed informare le famiglie di eventuali ritardi?
Un semplice badge, di quelli già in uso in alcuni licei italiani, non è sufficiente?

E una scuola – per quanto all’avanguardia e diretta da un Preside innegabilmente digital – è davvero in grado di garantire adeguate misure di sicurezza ad un trattamento di dati personali tanto critici come le impronte digitali degli studenti?
A leggere le dichiarazioni del Preside Marchitelli a La Repubblica qualche dubbio viene. Innanzitutto il dirigente scolastico ostenta sicurezza sul fatto che “saranno tutti d’accordo: quale genitore non vuole sapere cosa faccia il figlio di undici anni, in un quartiere come il nostro?”.

Un altro aspetto delicato della vicenda: quanti dei genitori degli studenti di una scuola di un quartiere difficile di una città difficile come Bari hanno davvero consapevolezza di cosa significhi prestare il consenso al trattamento delle impronte digitali dei loro figli e delle implicazioni presenti e future che ciò può comportare? E quanti – in un Paese come l’Italia di analfabeti digitali – dispongono di un livello di cultura digitale adeguato a capire che la maggior “tranquillità” loro promessa dal Preside ha un prezzo, almeno in termini di rischi?
E non basta.

Perché il Preside racconta anche che per l’implementazione dell’intero progetto non si spenderanno più di 6mila euro, una cifra che – nonostante l’enorme diffusione ormai raggiunta da questo genere di tecnologia – qualche perplessità sulla sicurezza di strumenti e processi preposti a trattare le impronte digitali dei ragazzini che frequentano la scuola barese, la solleva.

Guai, insomma, a frapporre ostacoli a chi – spesso contro tutti e contro tutto – voglia per davvero rendere più digitali e moderne le nostre scuole ma, ad un tempo, guai a pensare che tutto quello che è tecnologicamente possibile debba per ciò solo considerarsi giuridicamente legittimo, culturalmente auspicabile e democraticamente sostenibile.
Non abituiamo i ragazzini a strisciare il loro indice su un lettore biometrico già quando entrano a scuola se non è davvero necessario (ci stanno già pensando i produttori di smartphone e tablet), perché poi quando qualcuno glielo chiederà, da adulti, per avere uno sconto al supermercato lo troveranno naturale. Spogliarsi di un frammento della propria identità personale può essere utile in taluni contesti ma non è mai qualcosa da fare a cuor leggero.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il 3 mag 2016
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