Videogiochi. Siamo al fai da te?

Videogiochi. Siamo al fai da te?

Vendono sempre di più ma ad un mercato più concorrenziale corrisponde spesso un calo sul piano della qualità. Software incompleto e quasi non funzionante inizia ad arrivare nei negozi
Vendono sempre di più ma ad un mercato più concorrenziale corrisponde spesso un calo sul piano della qualità. Software incompleto e quasi non funzionante inizia ad arrivare nei negozi


Web (internet) – Il videogioco dovrebbe essere considerato una forma d’arte, come fu per il cinema dopo l’impatto iniziale della società con il nuovo mezzo espressivo.

In genere su queste pagine siamo sempre dalla parte dei videogiochi contro tutte le assurde ansie di censura che provengono dalla stampa e dai benpensanti per ridimensionare il fenomeno, ricordando il vero ruolo dei prodotti multimediali, che è quello di intrattenere e non di forgiare le menti di potenziali serial killer. Certo, non tutti i giochi (come non tutti i film, i libri, i dischi e i quadri) sono dei capolavori.

Ma quando ci si rende conto che non è la scarsa capacità del gruppo di artisti che ha collaborato alla creazione dell’opera a renderla mediocre, quanto l’ansia di invadere il mercato tempestivamente, allora il giudizio cambia.

Artur Bloch, forse inconsapevolmente il più grande epistemologo della società contemporanea, ricorda tramite una delle leggi di Murphy che se i muratori costruissero i palazzi come i programmatori scrivono il software, il primo picchio di passaggio farebbe crollare rovinosamente tutta la civiltà.

In realtà i programmatori obbediscono al principio tutto Yankee “meglio la quantità che la qualità”, dettato sia da leggi di mercato che da isterismi consumistici indotti dalla pubblicità: abbiamo veramente bisogno di personal superpotenti con schede video e audio 3D per giocare a giochi che si consumano in una settimana o per collegarci a Internet? Ma non è questo il punto.


L’uscita di due mostri sacri come Falcon 4.0 un anno fa e Ultima IX: Ascension nei giorni scorsi, ha riportato in primo piano il problema delle patch. Attesi allo spasimo dai giocatori, annunciati con demo, anteprime, immagini, posticipati, pubblicizzati su decine di siti web, posticipati ancora un pO’ e infine… vengono rilasciati praticamente in fase di sviluppo beta, con la promessa che correzioni future saranno disponibili sulla rete.

E così ci si trova in mezzo a molteplici download, spesso molto onerosi, reinstallazioni complicate e moltiplicazione dei supporti su cui i giochi e le patch vanno conservati. I costi e le opportunità di connessione in questi ultimi tempi sono nettamente migliorati, ma per diversi motivi Internet non è ancora alla portata di tutti gli utenti di videogiochi.

Certo, ci sono le riviste accompagnate da CDROM zeppi di upgrade di vario tipo. Però, se al prezzo di certo non contenuto dei giochi aggiungiamo quello delle connessioni o delle riviste, si raggiungono cifre eccessive che contribuiscono alla frustrazione di chi, acquistando un prodotto, deve aspettare un bel pO’ prima di poterci giocare come si deve.

Come sempre in questi casi meglio aver pazienza prima di investire il proprio denaro. Non è giusto, secondo noi, che sia l’utente di un servizio a dover pagare quando questo si rivela scadente. Sarebbe come se, per combattere l’inquinamento urbano invece di potenziare le reti di mezzi pubblici e renderne il costo competitivo, si multasse chi sceglie di utilizzare la propria vettura non “aggiornata” per mancanza di fondi. Ah, dimenticavo, questo lo fanno già?


Del resto è impossibile rimuovere ogni singolo errore da progetti enormi come quelli citati sopra, e vista la bellezza, la profondità e la “magia” di certi giochi, i veri appassionati sono disposti a passare anche sopra a qualche imperfezione o errore di gioventù.

Il vero problema resta la direzione in cui i giochi si stanno movendo.

Le avventure grafiche, i giochi di ruolo e anche gli strategici sono malati di 3D, e sembra che non funzionino più se non riprendendo la visuale in terza persona di Tomb Raider. Questo da un lato appesantisce il gioco nel reparto grafico e dall’altro toglie tempo alla CPU per i calcoli dell’AI e ai progettisti per la stesura della trama e lo studio degli enigmi.

Non solo. Presto ci si accorgerà che la iDSoftware ha varcato la frontiera del multiplayer e per imitarli tutti fra breve trascureranno il single player a scapito di chi crede che un gioco sia un modo come un altro di raccontare una storia. Fortunatamente la Valve di Half Life ha ben pensato di proseguire per la sua strada, e di continuare a farci provare emozioni che si nutrano di adrenalina senza affogarci dentro.

Quando gli sviluppatori annunciano una dilazione nel completamento di un gioco, lo fanno con vane promesse di nuove funzionalità: Ultima IX doveva immancabilmente dare l’opportunità di guidare un party, invece ci si trova soli come cani perché ci sarebbe voluta troppa intelligenza artificiale.

Insomma: manie 3D e multiplayer a sproposito, sete di hardware potente, approssimazione nella realizzazione, omologazione e mancanza di profondità, costo eccessivo rispetto alla longevità, enormi ritardi nella pubblicazione, non giustificati dalla qualità finale.

Roba da far cadere le braccia.
Ma viste le recenti conquiste della chirurgia, neanche questo è più un problema: ce le faremo riattaccare, diventando dei patchwork noi stessi.

Manrico Corazzi

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Pubblicato il 21 gen 2000
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