Zuckerberg e soci alla riforma dell'immigrazione

Zuckerberg e soci alla riforma dell'immigrazione

Un nuovo gruppo di pressione politica supporta l'iniziativa dei grandi protagonisti della tecnologia e della net economy nel tentativo di premere sulla politica USA e agevolare l'afflusso di "cervelli"
Un nuovo gruppo di pressione politica supporta l'iniziativa dei grandi protagonisti della tecnologia e della net economy nel tentativo di premere sulla politica USA e agevolare l'afflusso di "cervelli"

Già emerso nei giorni scorsi sotto forma di memo ufficiosi con tanto di coda polemica, il gruppo di pressione politica voluto dai magnati dell’hi-tech statunitense esce ora allo scoperto: FWD.us , questa l’incarnazione online del gruppo, lavorerà fuori e dentro la rete per costringere la politica a riformare le attuali politiche sull’immigrazione.

A promuovere e sostenere la lobby ci sono i principali nomi della tecnologia e dell’economia di rete degli ultimi anni, personaggi del calibro di Mark Zuckerberg (Facebook), Marissa Mayer (Yahoo!, ex-Google), Eric Schmidt (Google), Reid Hoffman (LinkedIn), investitori e capitalisti di ventura interessati alla crescita e allo sviluppo dell’hi-tech a stelle e strisce.

Un settore, quello dell’IT statutinetnse, che secondo Zuckerberg è al momento penalizzato da una politica dell’immigrazione “strana” per una nazione di immigrati e poco sana rispetto al mondo moderno. FWD.us intende fare pressione su repubblicani e democartici senza distinzioni, spingendo affinché la gestione dell’immigrazione venga modificata radicalmente per favorire l’approdo negli States di lavoratori della conoscenza in possesso di abilità e competenze fondamentali per l’era telematica.

I punti qualificanti della lobby di FWD.us includono l’introduzione di percorsi chiari e “attraenti” verso la cittadinanza per attrarre persone di valore da tutto il mondo, un incremento degli investimenti negli insegnamenti scolastici per scienze, tecnologia e ingegneria, una focalizzazione sulla ricerca scientifica capace di favorire il pubblico nel suo complesso piuttosto che una élite di pochi.

Un’esigenza da tempo sentita dalle maggiori aziende tecnologiche , quella di riformare la politica dell’immigrazione statunitense, che passa prima di tutto per l’auspicato (e sin qui non adeguatamente recepito) incremento dei visti H-1B per garantire la residenza di sei anni ai cittadini stranieri che lavorano nel paese.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
12 apr 2013
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