Quando James Cameron, uno dei registi più all’avanguardia di Hollywood, quello che ha reso credibili gli alieni blu di Avatar al punto da far dimenticare che sono pixel, dice che l’intelligenza artificiale lo terrorizza, forse dovremmo prestare attenzione. L’autore di Avatar e di film che hanno cambiato gli effetti speciali non ha usato mezzi termini: l’AI generativa è “terrificante”.
Il regista di Avatar James Cameron è contro l’AI
L’occasione è stata un’intervista alla CBS Sunday Morning in vista dell’uscita di “Avatar: Fuoco e Cenere”, il prossimo capitolo della saga che ci riporterà su Pandora. E Cameron ha colto l’opportunità per tracciare una linea netta e indelebile tra quello che fa lui con la tecnologia e quello che fa l’intelligenza artificiale generativa. Perché no, non sono la stessa cosa. Anzi, sono l’opposto.
Per anni, il pubblico ha guardato i film di Avatar con un misto di stupore e sospetto. Quei Na’vi dall’aspetto così realistico, quelle espressioni facciali perfette, quei movimenti fluidi. Come li fanno? Stanno sostituendo gli attori con i computer? È tutto falso?
Cameron ha voluto chiarire una volta per tutte: no, non stanno sostituendo un bel niente. La performance capture, quella tecnologia che registra ogni minimo movimento e ogni sfumatura emotiva di un attore per trasformarla in un personaggio digitale, è tutto tranne che la negazione del lavoro umano.
E per dimostrarlo, la CBS ha mostrato immagini del cast di Avatar che recita scene subacquee immerso in una vasca d’acqua. Non sono attori davanti a uno schermo verde che fanno finta di nuotare. Sono letteralmente dentro l’acqua, trattenendo il fiato, muovendosi, agendo. La tecnologia cattura ogni dettaglio di quella performance reale e la trasferisce sui personaggi digitali. L’attore c’è, il regista c’è, il momento creativo è tutto lì.
L’AI inventa dal nulla, ed è questo il problema
Poi c’è l’intelligenza artificiale generativa, quella che con un prompt di testo può tirar fuori un personaggio completo, una performance, un’intera scena senza che ci sia mai stato un attore, un set, un momento di creazione umana.
L’intelligenza artificiale generativa permette di inventare un personaggio, un attore, una performance partendo da zero con un prompt di testo. No, è terrificante… È esattamente quello che non stiamo facendo
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Terrificante. Non “interessante”, non “affascinante”, non “una tecnologia da esplorare”. Terrificante. Una parola che Cameron non usa a caso, considerando che è lo stesso che ha creato Terminator e ha passato la carriera a immaginare futuri distopici dove le macchine prendono il sopravvento. Quando lui dice che qualcosa lo spaventa, probabilmente ha i suoi buoni motivi.
Il punto che Cameron vuole sottolineare è fondamentale, la performance capture amplifica il lavoro umano, non lo sostituisce. È uno strumento che permette agli attori di dare vita a personaggi che altrimenti sarebbero impossibili da realizzare, ma l’anima, l’emozione, la performance vengono sempre da una persona vera. L’AI generativa, invece, elimina completamente l’essere umano umano dall’equazione. Si scrive un prompt, si preme invio, e boom, ecco un personaggio che “recita” senza che nessuno abbia mai recitato davvero.
La difesa dell’umanità del cinema
Questa presa di posizione arriva in un momento particolare per Hollywood. Gli scioperi degli sceneggiatori e degli attori del 2023 hanno portato al centro del dibattito proprio la questione dell’intelligenza artificiale nel cinema. C’è chi teme che l’AI possa sostituire attori, doppiarli senza consenso, creare performance sintetiche che rendano obsoleto il lavoro umano.
Cameron si schiera senza mezzi termini dalla parte degli artisti. Lui la tecnologia l’ha sempre usata per spingere i confini del possibile. Avatar ne è la dimostrazione, ma è anche un trionfo di recitazione, direzione, lavoro umano amplificato dalla tecnologia. Non sostituito.
E se uno come Cameron dice che c’è una linea da non attraversare, forse vale la pena fermarsi un attimo prima di oltrepassarla.