Roma – Chi usa software e ambienti di file-sharing per scambiare file musicali o altri contenuti protetti? Con uno spider adatto, intrufolato nei più frequentati spazi di scambio, si potrebbero rintracciare tonnellate di indirizzi IP e poi associare gli indirizzi agli utenti. Infine si potrebbero ottenere dalle magistrature dei singoli paesi ove risiedono i maniaci del file-sharing le autorizzazioni necessarie a sequestrare il materiale pirata, condendo magari il tutto con il sequestro del computer e una bella multa.
Fantascienza? Lo era, fino a poche settimane fa, quando la polizia belga ha iniziato a compiere dei raid nelle case di alcuni utenti di Napster. Utenti che avrebbero diffuso e scaricato materiale pirata e che sarebbero stati individuati e denunciati dalla prode “International Federation of Phonografic Industry” (IFPI), una delle massime espressioni associative della multi-industria della discografia.
L’approccio repressivo è rivoluzionario. Anziché colpire la povera azienda Napster, colpevole solo di aver sviluppato un software che segna una svolta concettuale senza precedenti per la Rete, i discografici sembrano pronti a dedicarsi ad un nuovo sport: il tiro al piccione.
I blitz in Belgio hanno condotto all’esame dei contenuti dei computer e degli altri supporti digitali trovati nelle case dei fuorilegge. Per cercare prove che denuncino la loro attività di pirati e contraffattori.
Un’operazione che la IFPI ha sponsorizzato e che verrà presto ripetuta su più larga scala. Il software utilizzato per individuare i “criminali”, hanno detto quelli della IFPI, è in grado di rintracciare i downloaders più accaniti a gruppi di migliaia ogni giorno. Una volta ottenuto l’IP di ciascuno e da lì il nome degli utenti, tutto quello che deve fare la IFPI è contattare le autorità di polizia competenti e far partire denunce e blitz.
Inutile dire che questa politica repressiva, se verrà effettivamente portata alle sue estreme conseguenze, non solo accelererà il processo di sviluppo di Freenet e delle altre sottoreti che garantiscono l’anonimato ma anche provocherà un nuovo imperioso distacco tra utente-consumatore e casa discografica. Comprare un album equivarrebbe a finanziare la repressione. L’anticamera della morte per l’industria discografica. Un’anticamera nella quale potremmo cominciare con l’organizzare un festino, in attesa del lieto evento.