Bush firma il Patriot. Rete sotto controllo

Bush firma il Patriot. Rete sotto controllo

Con il varo della nuova legge si estendono tutti i poteri di sorveglianza e controllo. Una norma ritenuta necessaria per la lotta anti-terroristica. Critiche con cautela dal fronte dei diritti civili. Ecco cosa cambia da oggi
Con il varo della nuova legge si estendono tutti i poteri di sorveglianza e controllo. Una norma ritenuta necessaria per la lotta anti-terroristica. Critiche con cautela dal fronte dei diritti civili. Ecco cosa cambia da oggi


Washington (USA) – Con la firma del presidente americano George W. Bush il PATRIOT Act, la nuova legge anti-terrorismo, è divenuta efficace negli Stati Uniti. Una legge destinata a cambiare molte cose, dentro e fuori dalla rete.

Internet d’ora in poi sarà più facilmente controllata dalle forze dell’ordine americane, in particolare sarà più semplice per l’FBI e le unità anti-terrorismo cercare sulla rete indizi di attività sospette e condurre indagini. Per ottenere questi risultati sono stati estesi i loro poteri di indagine e reperimento delle informazioni, poteri che ora coinvolgono sia i provider che gli accordi tra le diverse agenzie investigative.

In particolare i provider dovranno installare Carnivore, il sistemone di monitoraggio che permette alle autorità americane di rilevare le comunicazioni elettroniche, email e log degli accessi o altro materiale digitale, effettuate da uno o più utenti internet. I provider che non installeranno Carnivore, dovranno comunque dotarsi di applicativi capaci di rilevare e monitorare in ogni suo aspetto le comunicazioni degli utenti indicati dalle forze dell’ordine e fornire loro in tempo reale ogni dato.

In generale, la legge richiede ai provider di rendersi più “disponibili” alle esigenze delle forze dell’ordine. Da sempre, per ragioni di riservatezza e per la necessità di dimostrare ai propri utenti quanto questa sia rilevante, molti provider si sono pubblicamente “ribellati” contro ogni ipotesi di “monitoraggio”. Dopo l’11 settembre e le stragi di New York e Washington, però, il clima è totalmente cambiato.

“Oggi – ha affermato Bush all’atto della firma della legge – compiamo un passo essenziale nella lotta contro il terrorismo proteggendo contestualmente i diritti costituzionali di tutti gli americani”. E va segnalato che al Senato la legge è passata con 98 voti a favore e 1 contro, mentre alla Camera si sono avuti 357 voti a favore e 66 contro.

Sul piano giuridico, la nuova legge include le comunicazioni elettroniche e l’uso della rete nel cosiddetto “pen register”, un insieme di poteri che fino ad oggi hanno consentito alle polizie americane di tenere traccia delle comunicazioni telefoniche. Ora è per loro possibile raccogliere informazioni sulle attività internet, compresi numeri IP, navigazione online, materiali scaricati, messaggi letti e postati sui newsgroup, email ricevute ed inviate.

Ma nel PATRIOT Act non c’è solo questo, perché uno degli elementi fondamentali della legge sta nello scambio di informazioni tra le diverse agenzie investigative, sia a livello di forze dell’ordine che di servizi segreti. L’idea di fondo è quella di consentire un confronto più agevole tra tutti i dati raccolti e dunque condurre indagini che possano andare in profondità più rapidamente.

Tutto bene dunque? No, almeno a sentire le associazioni che si battono per la tutela dei diritti civili, che stanno protestando ma, a dire la verità, con molto meno vigore che in passato.


Il coro delle critiche contro il PATRIOCT Act, che in altri tempi si sarebbe alzato furente, prende corpo sotto tono in queste ore negli Stati Uniti, emblema del diverso clima scaturito dopo l’11 settembre.

Il Center for Democracy and Technology (CDT) ha sostenuto che il vero problema della legge è il fatto che vengano raccolte molte informazioni anche su persone che sono vagamente coinvolte negli aspetti più periferici delle indagini. Tra questi, per esempio, tutti i contatti dei sospettati, tutti coloro che ricevono loro email o altre comunicazioni e via dicendo. “Il procuratore generale – ha detto Jerry Berman del CDT riferendosi alla posizione “forte” del governo – sta spiegando su internet quello che accadrà. Vogliono condurre molte indagini e raccolte dati su internet, e poiché cercano un ago in un pagliaio, faranno inchieste di grandi dimensioni. Il problema è che questa legge è molto ampia e non si applica solo ai terroristi ma anche a persone e organizzazioni che operano nella piena legalità”.

Una posizione di maggiore “collaborazione” con il Governo è arrivata dalla ACLU, la potente associazione americana per i diritti civili che da sempre si batte per impedire l’ampliamento non necessario dei poteri di sorveglianza delle polizie americane.

La ACLU ha già spiegato che lavorerà con l’amministrazione Bush e con la polizia federale per assicurarsi che le libertà civili non siano compromesse nell’adozione di quanto previsto dalle nuove norme, una posizione che secondo qualcuno rischierebbe di dare autorevolezza ai sostenitori della necessità di controllo e monitoraggio. “L’entrata in vigore di questa legislazione – ha però voluto puntualizzare il direttore esecutivo dell’ACLU, Anthony D. Romero – non vuole in alcun modo significare che la storia finisce qui. Noi ora lavoreremo con tutte le nostre delegazioni nel paese per monitorare come questa legge verrà adottata”.

Ancora meno disposto a compromessi è sembrato il direttore dell’ufficio di Washington dell’Associazione, Gregory T. Nojeim, secondo cui “questi nuovi poteri non controllati potrebbero essere utilizzati contro cittadini americani che non sono sottoposti ad inchieste criminali, immigranti che sono legalmente all’interno dei nostri confini e anche contro coloro le cui attività protette dal Primo Emendamento potrebbero essere sospettate di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale da parte del procuratore generale”.

In realtà, la speranza di molti gruppi di difesa delle libertà civili risiede in una proposta normativa presentata alla Camera dei Rappresentanti, una proposta che imporrebbe la supervisione di un giudice sulle operazioni di intercettazione e monitoraggio compiute dall’FBI. Una supervisione che avverrebbe comunque a posteriori, con la consegna da parte dell’FBI entro 30 giorni dell’informazione raccolta durante leindagini.

Secondo il portavoce del leader democratico alla Camera Dick Armey, che ha presentato la proposta, questa norma “richiederebbe all’FBI di rivelare quanto è stato raccolto, da chi e chi vi ha avuto accesso”.

Fonte di preoccupazione, invece, arriva dal fatto che i poteri di sorveglianza della rete non “scadono” nel 2006, anno nel quale invece cesseranno una serie di misure speciali che concedono oggi maggiore libertà d’azione alle agenzie federali di indagine.

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Pubblicato il
29 ott 2001
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