In Italia si beve espresso e forte, in America trova spazio in grandi bicchieri con dentro dolcificanti e aromi particolarmente dolci: ora in una ricerca scientifica, il caffè prende posto in uno studio che permetterebbe di rilevare le onde cerebrali.
Non si parla di caffè nel senso stretto, ma più degli scarti, che se fino ad oggi erano stati testati soltanto come supercondensatore per mantenere l’energia, ora invece sono stati “provati” anche nella biologia, facendo diventare gli scarti del caffè un rilevatore di biomolecole in vitro.
Gli scarti del caffè: dal supercondensatore al rilevatore di biomolecole
Ashley Ross ha preso gli scarti prodotti da questa bevanda e li ha sfruttati per la loro capacità di immagazzinare energia:
Ho visto ricerche che vedevano l’utilizzo degli scarti del caffè per immagazzinare energia, e ho pensato di poter usare questo materiale conduttivo per il nostro lavoro di neurochimica (e per comprare molto caffè per il laboratorio).
I microelettrodi che di solito i ricercatori usano sono fatti di fibra di carbonio, il che ha dei costi elevati e il processo di produzione è difficile. Questi elettrodi fatti con gli scarti del caffè invece sono un approccio economico e oltretutto anche ecosostenibile.
La cosa interessante è che questi elettrodi sono più performanti di quelli in carbonio (più di 3 volte) quando è presente la dopamina, avendo inoltre una sensibilità maggiore e quindi un risultato migliore sulle varie analisi effettuate.
Ora la ricerca proseguirà e verranno fatti nuovi test, ma il team sembra certo che questo sistema permetterà di avere risultati migliori (grazie al maggiore assorbimento di dopamina), e le prove partiranno con dei topi per iniziare. Per il resto, sembra anche che tutto il team di ricerca sia felice della miscela presa per il proprio caffè, vista la presenza in larga scala all’interno del laboratorio di questa bevanda.