DRM e trasparenza

DRM e trasparenza

di Marco Calamari - La decisione francese sui DRM è un passo in avanti per alcuni aspetti. Ma si sorvola sul diritto dell'utente di sapere che ciò che acquista può essere utilizzato solo a certe condizioni
di Marco Calamari - La decisione francese sui DRM è un passo in avanti per alcuni aspetti. Ma si sorvola sul diritto dell'utente di sapere che ciò che acquista può essere utilizzato solo a certe condizioni


Roma – Nelle ultime settimane l’argomento dei DRM è nuovamente tornato alla ribalta per le discussioni che la legge francese sull’argomento ha suscitato. Ma i discorsi sull’interoperabilità dei DRM e del diritto di copia ed esecuzione che in questa ed altre sedi vengono portati avanti, pur importantissimi, rischiano in certi casi di agire come i proverbiali alberi che impediscono di vedere la foresta.

Infatti, mentre alcuni ostacoli sono stati frapposti all’implementazione od alla distribuzione di alcuni specifici DRM, o per cercar di sancire alcuni diritti basilari degli utenti, niente è ancora stato fatto per garantire la trasparenza di questi sistemi come obbligo per i produttori di hardware e software.

Non equivochiamo; non nel senso di pubblicare i codici sorgenti (sarebbe bello, ma ci sono già delle leggi che si muovono in senso diametralmente opposto) ma nell’informare compiutamente l’utente/proprietario della loro presenza e delle loro modalità esatte di funzionamento, opt-out e disinstallazione.

La tendenza dei DRM di nuova generazione è infatti quella di nascondersi nelle piattaforme hardware e software, come nel caso del Trusted Computing (con remote attestation), della HDTV e dei lettori Blue-Ray.

Questa situazione, ove continuasse ad evolvere nella attuale direzione, provocherebbe la scomparsa dei DRM come sistemi “separati” (quindi installabili o no, e magari anche disinstallabili) ma uniformamente diffusi in tutto l’hardware e software sia informatico che anche casalingo.

Non ci sono purtroppo attività significative, che dovrebbero essere legislative, in questa direzione; considerare cioè i sistemi DRM come oggetti se non pericolosi almeno non innocui, ed informare l’utente della loro presenza e dei loro effetti.

Questo non sarebbe impensabile; sugli OGM e sulle radiazioni non ionizzanti è stato fatto molto in senso legislativo, pur in assenza di certezze sugli eventuali danni che il pubblico ed i consumatori potevano subire.

L’embedding di funzionalità nascoste, invasive e talora lesive della privacy e della libera circolazione delle informazioni dovrebbe essere reso obbligatoriamente documentato per l’utente finale, sia per garantire la libertà di scelta che per prevenire gli inevitabili e già in parecchi casi realizzatisi abusi.

Solo in questo modo si potrebbero lasciare le leggi del mercato libere di agire contro chi considera i clienti come nemici, e preferisce spendere miliardi per ingessare un mercato piuttosto che cogliere le opportunità che un nuovo modello di business potrebbe offrire.

Quale modello ? Uno in cui la diffusione, e non la scarsità dell’informazione generassero profitti, in cui il diritto d’autore e la proprietà intellettuale avvantaggiassero solo gli autori ed i creatori di innovazione e fossero limitati nel tempo in maniera ragionevole, dove l’informazione costasse così poco che tutti o quasi se la potessero permettere, ed il business relativo crescesse enormemente in volume.

Un mondo che non avrebbe bisogno di DRM.

Marco Calamari

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Pubblicato il
24 mar 2006
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