Roma – Ho letto e riletto con attenzione l’interessante articolo di Stefano Aterno, del quale ho apprezzato altri interventi, pubblicato su Punto Informatico l’8 ottobre. Pur ritenendo utile, anzi necessario, il confronto continuo e corretto tra le posizioni dei sostenitori dei diritti civili in Rete e quelle delle autorità preposte alla gestione della sicurezza nelle sue varie accezioni, devo manifestare la mia assoluta opposizione alle tesi ivi sostenute.
Senza mezzi termini, ed a rischio di sembrare brutale, vorrei subito dire che ritengo la posizione che l’articolo enuncia non un invito al confronto, ma semmai un tipico esempio di creazione di FUD (Fear, Uncertainity, Doubt – Paura, Incertezza, Dubbio) che fin dall’inizio lo impedisce.
E passo subito a motivare questa mia affermazione.
La ricerca di un “equilibrio” tra “esigenze superiori di sicurezza” e “diritti dei cittadini” nei termini usati nell’articolo, che chiede di evitare di “avvitarsi in discussioni e polemiche (spesso dietrologiche)” non lascia molto spazio a chi invece promuove i diritti civili in Rete.
Accettare una tale impostazione equivarrebbe accettare una mediazione, nel Colosseo di 2000 anni orsono, tra i diritti civili dei proto-cristiani e le necessità alimentari dei leoni. E’ un modo per iniziare il gioco del confronto negando fin dall’inizio le motivazioni dell’interlocutore in maniera veramente brutale. Questo per giustificare la F di FUD.
E per entrare nel merito della disinformazione (U e D – peraltro probabilmente involontaria) che traspare in vari punti del testo, basti citare l’affermazione secondo cui “la normativa recente… consente di escludere dal monitoraggio a fini investigativi il contenuto delle comunicazioni”. Infatti la normativa citata esclude il contenuto delle comunicazioni non dal monitoraggio investigativo, ma (per fortuna) dalla ben più grave ed invasiva data retention, cioè dalla memorizzazione sistematica preventiva dei dati di log delle comunicazioni telematiche.
Gli investigatori hanno da sempre e continuano ovviamente ad avere la possibilità di monitorare i contenuti durante le indagini di tipo informatico come durante le intercettazioni ambientali.
Non ritengo utile nè costruttivo proseguire nel commento dell’articolo; consiglio anzi chi non l’avesse già letto di farlo, per formarsi una sua opinione personale, non viziata da quella di un “estremista” dei diritti civili in Rete, categoria a cui io senz’altro appartengo.
Vorrei invece sottolineare la sempre più profonda divergenza tra la concezione di Stato e cittadino nostra e di un paese, attentissimo peraltro alle istanze della sicurezza, come gli Stati Uniti.
Divergenza sempre più pericolosa, perchè prospera nella maniera più rigogliosa proprio nelle istituzioni e tra gli addetti ai lavori.
E passo percio’ a fare un esempio che rappresenta, nella mia visione del mondo, l’acme di una vera ricerca di equilibrio tra Stato e cittadino.
La Costituzione americana vincola il cittadino al rispetto delle leggi volte a preservare il bene comune, e riserva allo Stato il diritto di formare un esercito.
Ma per bilanciare in maniera reale, e non solo come fumoso principio, il potere del cittadino con quello dello Stato, viene garantito al cittadino, addirittura a livello costituzionale, il diritto inalienabile a possedere e portare armi.
Questa è l’approccio necessario per la ricerca di un reale equilibrio.
Il cittadino non è quindi un “suddito”, ma condivide, anche su un piano materiale, il potere “militare” dello Stato. La situazione italiana nello stesso settore è anche troppo nota, e a parere di chi scrive, denota invece la diffusa sottomissione del cittadino allo Stato.
E per terminare e non rischiare di annoiare il lettore con troppe opinioni, voglio sintetizzare la mia posizione sul bilanciamento tra diritti dei cittadini e necessità investigative dello Stato nel campo della sicurezza e della privacy.
Io, come cittadino italiano, esigo il rispetto dei miei diritti costituzionali alla comunicazione ed alla privacy.
Voglio rispettare le leggi, ma esigo che i legislatori che mando in parlamento producano leggi chiare e rispettose dei diritti civili, che diano luogo a regolamenti e norme attuative tecnicamente valide, chiare e poco discrezionali.
Sono profondamente convinto, supportato anche dalla cultura informatica di questo settore (mia e di altri), che l’equazione “meno privacy uguale più sicurezza”, specialmente in ambito telematico, è non solo ideologicamante scorretta ma anche totalmente sbagliata dal punto di vista tecnico.
Posso tranquillamente affermare che il suo unico impiego efficace nel mondo della comunicazione, è quello di disonesto strumento ideologico di manipolazione dell’opinione pubblica.
Esigo il rispetto del mio diritto alla privacy, ed esigo anche che lo Stato, che come cittadino contribuisco a mantenere, mi garantisca la sicurezza al massimo livello possibile senza dover calpestare i diritti di nessuno, e tantomeno doversi comportare come il Grande Fratello di “1984”.
Voglio la privacy e voglio la sicurezza.
Da queste posizioni possiamo far partire un confronto che porti ad una reale mediazione. Da quelle di subordinazione, descritte nell’articolo di Stefano Aterno, certamente no.
Spero sinceramente di avere una reale possibilità di confronto con l’avv. Aterno, che approfitto per invitare ufficialmente ad e-privacy 2006 , e con il maggior numero di coloro che sono contrari alle posizioni che io difendo.
Ne abbiamo tutti molto bisogno.
Marco A. Calamari
I precedenti interventi di M.A.C. sono disponibili qui