All’FBI non va giù il nuovo cambiamento di rotta deciso dai produttori di sistemi operativi e gadget mobile, perché i dispositivi sicuri e criptati “a prova di federale” promessi da Apple e Google non farebbero bene al principio di eguaglianza di tutti i cittadini americani di fronte – anzi sotto – alla legge.
A esprimere preoccupazione nei confronti dei colossi hi-tech è James Comey, il direttore del bureau investigativo più famoso al mondo: la decisione di abilitare la cifratura dei dati sui nuovi sistemi, annunciata prima da Tim Cook di Apple e poi seguita a ruota da quella di Google , rappresenta per Comey una prospettiva preoccupante.
Particolarmente inquietante, dice il direttore dell’FBI, è che un’azienda privata pubblicizzi la commercializzazione di qualcosa che permette espressamente alle persone di “porsi oltre la legge”. L’FBI ha già contattato le corporation coinvolte chiedendo spiegazioni, o per dirla ancora con le parole di Comey “per capire che cosa hanno in mente e perché pensano che abbia senso” una cosa come la cifratura dei dati degli utenti abilitata di default.
Il direttorissimo dell’FBI si guarda ovviamente bene dal fare accenni al Datagate, alle rivelazioni di Edward Snowden che negli ultimi mesi hanno sconquassato il mondo tecnologico mettendo a nudo le capacità quasi fantascientifiche di tecnocontrollo a disposizione della NSA, non curandosi per di più di tenere in conto il fatto che la privacy viene generalmente considerata – negli USA e non solo – come un diritto fondamentale che rientra perfettamente nei confini delle stesse leggi che per Comey sarebbero minacciati dalla cifratura dei gadget mobile.
All’FBI interessa poter mettere mano sui terminali degli utenti sempre e comunque, senza che se ne faccia un gran parlare in pubblico, ma le corporation tecnologiche hanno al contrario bisogno di maggior trasparenza per recuperare la fiducia degli utenti persa nell’epoca post-Datagate; Yahoo ha in tal senso pubblicato il suo nuovo rapporto sulla trasparenza globale , un documento che prende in considerazione la prima metà del 2014 e rivela una riduzione importante delle richieste di accesso ai dati personali da parte delle autorità governative (18.594 contro le 21.425 dei sei mesi precedenti) e un declino meno significativo degli account utente coinvolti (30.551 contro i precedenti 32.493).
Alfonso Maruccia