Il compenso per copia privata punisce gli italiani

Il compenso per copia privata punisce gli italiani

Le differenze del compenso per copia privata tra i Paesi europei evidenzia il disallineamento continentale su questo tema e genera un problema fortemente italiano.
Il compenso per copia privata punisce gli italiani
Le differenze del compenso per copia privata tra i Paesi europei evidenzia il disallineamento continentale su questo tema e genera un problema fortemente italiano.

Si metta un attimo da parte tutto quel che si può pensare a proposito del cosiddetto “compenso per copia privata“, ossia quel costo extra imposto a tutti i dispositivi dotati di memoria (poiché ipoteticamente utilizzabili per conservare copie private di contenuti coperti da copyright). Le opinioni a questo punto contano in modo relativo perché, dopo anni di applicazione, è necessario analizzare tanto la realtà dei fatti odierna, quanto ciò che sembra poterci essere dietro l’angolo. Molto si è già scritto e detto in proposito, ma di fronte alla nuova bozza che prelude a nuovi aumenti del compenso è necessario allargare l’orizzonte e confrontare ciò che accade in Italia con quel che accade in altri Paesi europei.

Il confronto, infatti, è dirimente.

Italia vs Europa: paradosso SSD

C’è un ambito nel quale, più che in ogni altro, il compenso per copia privata colpisce pesantemente: si tratta del mercato degli SSD (Solid State Disk). Il confronto tra l’Italia e il resto dell’Europa va lasciato semplicemente ai numeri, poiché descrivono meglio di qualsiasi parola lo stato dei fatti. Questi, infatti, i massimali imposti dalla normativa per il cosiddetto “equo compenso” (ossia le tariffe imposte, e in questo caso specifico analizziamo la situazione per gli SSD esterni ad alta capienza):

  • Italia: la nuova tariffa ipotizzata è pari a 21,02€ (18€ quella attuale)
  • Spagna: 6,45€
  • Germania: 4,44€
  • Olanda: 0,80€

Il numero è autoesplicativo: in Italia per avere un SSD esterno ad alta capienza occorre pagare 18 euro (più IVA) in più in virtù del compenso per copia privata, mentre in Olanda si pagano appena 0,80€. Per gli SSD interni il gap è ancora più ampio poiché laddove l’Italia ha imposto una tariffa elevata, la gran parte degli altri Paesi europei non impone tariffa alcuna in quanto singole componenti di un device completo. Potendo scegliere (e in un mercato aperto la scelta è possibile) dove sarà più conveniente acquistare? La domanda è retorica, la risposta è preoccupante.

Questi numeri raccontano pertanto due contraddizioni parallele: la prima è che all’interno della stessa Unione Europea vi siano differenze abissali nel trattare medesima materia e le differenze siano non soltanto in termini di principio, ma anche in termini economici; la seconda è che acquistare un SSD in Olanda, in Germania o in Italia implichi costi profondamente differenti, spingendo quindi gli utenti a cercare soluzioni alternative oltre confine per ottenere quello che di fatto diventa un vero e proprio (nonché sostanzioso) sconto.

SSD

Con tariffe di questo tipo, insomma, l’Italia sta respingendo entrate che proverrebbero da IVA e altre voci di introito, suggerendo al mercato e agli acquirenti qualcosa di controproducente per il sistema paese. In questi termini, insomma, il compenso per copia privata si trasforma in un vero e proprio dazio che imponiamo agli SSD e altri supporti, scaricando l’extra-costo sui consumatori e annichilendo il prezzario di questi prodotti sul mercato interno. Aumentare le cifre così come previsto dalla nuova bozza significa non soltanto ignorare questo monito, ma aggravarne le conseguenze fino al punto in cui la tolleranza per “assorbire” le conseguenze non sarà più possibile e i danni collaterali inizieranno pertanto a manifestarsi.

Il ragionamento non cambia per le chiavette USB, ad esempio, dove il tetto massimo viene alzato secondo logica del tutto similare e viene reiterato per tutti quei device che, forniti di memoria interna, sono soggetti al compenso in qualità di dispositivi potenzialmente utilizzabili per conservare una “copia privata”.

Un confine oltre i confini

Uno dei più grandi passi compiuti dall’UE negli ultimi decenni è relativo al roaming dati e alla possibilità di poter utilizzare anche all’estero almeno parte del traffico previsto dal proprio abbonamento con il provider nazionale. Grazie a questo provvedimento, infatti, i confini sono stati abbattuti non soltanto sulle mappe, ma soprattutto nell’immaginario collettivo e nella pratica quotidiana: attraversare un confine non significa perdere la propria connettività, dunque si può ignorare la zolla su cui si cammina purché sia entro il perimetro dell’UE. Quel che oggi può sembrare banale era proibitivo fino a pochi anni or sono.

Di fronte al geoblocking dei servizi video la battaglia è più complessa, ma qualche risultato è già stato ottenuto. Eppure quando si parla di “compenso per copia privata” le cose stanno diversamente: il gap tra le singole nazioni è estremamente ampio e ciò dimostra come non ci sia stata alcuna azione di concertazione per equiparare (o almeno avvicinare) il peso del compenso tra nazione e nazione.

Tali differenze, tuttavia, pesano inevitabilmente sulle dinamiche interne al mercato europeo: laddove lo scambio di merci e servizi segue logiche di sempre maggior libertà (sono molti i Paesi che invocano una cancellazione dei “dazi” interni prima ancora di contestare quelli che ci vengono imposti da oltreoceano), la marchiane differenze sul compenso per copia privata stridono fortemente e generano sacche di vantaggio o svantaggio economico destinate a lasciare un segno. L’Italia, in particolare, è completamente fuori asse e questo non potrà che suggerire altre vie, altri Stati e altri mercati per produrre e distribuire dispositivi elettronici su cui grava un orpello tale da pesare sul prezzo addirittura più dell’IVA.

Appelli e interrogazioni

L’ASMI (Associazione Supporti e Sistemi Multimediali Italiani) ha già più volte evidenziato i problemi legati al compenso per copia privata, ma il suo appello è stato fin qui inascoltato. Stessa sorte è quella ottenuta dall’interrogazione di Valentina Grippo e Giulia Pastorella al Ministro della Cultura. A poco sembrano valse anche le opinioni contrarie raccolte nell’apposita consultazione pubblica istituita da medesimo dicastero.

Per l’ASMI non è un problema di colore politico, poiché ogni singolo governo dell’ultimo decennio ne condivide parte delle responsabilità. Il problema, semmai, è istituzionale e vede il Parlamento imbrigliato in una dinamica poco trasparente:

Cominciò il berlusconiano ministro Giuliano Urbani nel 2003 con un Decreto, continuò sei anni dopo l’azzurro Sandro Bondi, se ne fecero convinti assertori nel centrosinistra l’illuminato Massimo Bray e, con determinazione, Dario Franceschini fino a quell’Alessandro Giuli del governo Meloni da più parti indicato come un ministro che, nelle stanze di via del Collegio Romano, non “tocca palla” o quasi, destinato a occuparsi dell’infosfera.

Il “compenso” è uno scandalo, ogni volta avversato dalle associazioni dei produttori (come l’Asmi, l’Associazione nazionale supporti e sistemi multimediali guidata da Mario Pissetti) con ricorsi al Tar Lazio e al Consiglio di Stato che ogni volta indicano la non legittimità di Decreti di seguito senza alcuno scrupolo rapidamente pari pari rinnovati.

Ogni volta partorito da un Decreto sul quale il Parlamento rimane muto. Non una stranezza, se la riforma della Siae giace nei cassetti di Montecitorio e Palazzo Madama da più di un decennio.

Eppure parlare di aumenti in questa situazione è qualcosa che stride e che rende palese una situazione nella quale la prima vittima è il consumatore finale. Il quale, nel frattempo, ha peraltro spostato i propri gusti sulla musica in streaming, trovandosi così a versare molteplici volte nelle casse dei detentori di diritti: una volta in modo diretto attraverso gli abbonamenti e le altre volte in modo indiretto attraverso compensi per copie privata mai create, mai desiderate e mai possedute.

Ignorare tutto ciò è semplicemente impossibile e gli aumenti, se venissero confermati, avrebbero un unico evidente effetto positivo: quello di aggiungere un megafono a questo paradosso e sensibilizzare una volta di più l’opinione pubblica su quello che è chiaramente un problema tutto italiano.

Questo articolo contiene link di affiliazione: acquisti o ordini effettuati tramite tali link permetteranno al nostro sito di ricevere una commissione nel rispetto del codice etico. Le offerte potrebbero subire variazioni di prezzo dopo la pubblicazione.
Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
22 dic 2025
Link copiato negli appunti