Un team internazionale di ricercatori disseminati fra Vienna, Edimburgo, Singapore e Dublino ha messo alla prova un sistema di quantum computing che garantirebbe il massimo della privacy e della sicurezza nell’elaborare informazioni usando server remoti.
Nella nuova ricerca internazionale il computer quantico incontra il cloud computing: il processing dei dati viene eseguito in remoto, su informazioni di cui il client (anch’esso quantico) non ha modo di sapere alcunché, né sull’input, né sulle operazioni eseguite, né sull’output finale.
Il data processing quantico-remoto avviene insomma in una vera e propria “black box”, che nel caso dell’esperimento dei ricercatori funziona su principi ottici (fotoni): all’utente spetta preparare il qubit (l’unità di dati fondamentale nei computer quantici) iniziale in uno stato noto solo a lui, per inviarlo poi al quantum computer che fa l’ entanglement secondo uno “schema standard”.
Il tipo di calcoli previsti dal sistema è basato sulla semplice misurazione dello stato del qubit: l’utente stabilisce istruzioni precise per quale tipo di misurazione fare sui qubit e le invia al server remoto, che interpreta le istruzioni e le spedisce indietro per l’utente che può interpretarle e utilizzarle come preferisce.
I ricercatori sostengono che in un simile sistema non è possibile intercettare le comunicazioni, perché senza conoscere lo stato iniziale del qubit non si potrebbe interpretare correttamente l’output proveniente dal server remoto.
Alfonso Maruccia